SQUILIBRIO DELL’ ARTICOLAZIONE TEMPORO-MANDIBOLARE E NEVRALGIA DEL TRIGEMINO

trigemino

L’articolazione temporo-mandibolare (ATM) ed il trigemino sono alcune delle più importanti strutture del volto. Quando l’ATM è “squilibrata” o perturbata in altre maniere, può influenzare molte altre zone della testa e del collo. Poiché il nervo trigemino, che innerva l’ATM, innerva anche gran parte del viso e del collo, i dolori scaturiti dalla situazione dell’articolazione e dalla “compromissione” del nervo possono avere la stessa causa scatenante ed essere strettamente intercorrelate.

ATM

Abbiamo avuto modo di descrivere questa articolazione nei precedenti articoli e delle sue implicazioni sia a livello posturale che nell’insorgenza sia in fase acuta e cronica di cefalee ed emicranie.

Come sappiamo essa è coinvolta in molteplici azioni le principali sono:

  • Masticazione
  • Deglutizione
  • Fonazione
  • Respirazione

Risulta cosi essere l’articolazione più attiva del corpo, se solo pensiamo alla deglutizione atto che eseguiamo dalle 1200 alle 1500 volte al dì, i suoi squilibri e movimenti sono correlati a strutture vicine e lontane, come nel caso dei disturbi cranio-cervico-mandibolari che costituiscono un insieme di condizioni dolorose e/o disfunzionali di natura infiammatoria o degenerativa che interessano le ATM e la muscolatura masticatoria e le strutture che con esse contraggono rapporti anatomo-funzionali.

La maggior parte dei disturbi dell’ATM sono causati da squilibri e/o lesioni causate da movimenti ripetitivi che causano stress e affaticamento dei muscoli adibiti alla masticazione, deglutizione e a tutta la muscoaltura cranio vertebrale cervicale, dorsale superiore e dello stretto toracico superiore. Questa condizione può predisporre e favorire l’insorgenza di artrosi a livello delle articolazioni cervicali soprattutto se non trattata e protratta nel tempo.

NERVO TRIGEMINO

Andando ad analizzare l’intero sistema nervoso, scopriamo che gli input al cervello trovano ingresso solo per il 20% da strutture neurologiche provenienti dalla colonna vertebrale.

Il restante 80% proviene dai 12 gruppi di nervi cranici i quali hanno il compito di “controllare” diverse funzioni le principali sono:

  • Il gusto
  • L’udito
  • L’olfatto
  • La vista
  • I movimenti oculari (muscoli oculomotori)
  • La funzione propiocettiva dell’orecchio interno
  • Il controllo autonomo degli organi e dei vasi sanguigni

Più della metà di quell’80% di input neurologici al cervello provengono dal nervo trigemino. Esso è costituito da tre branche principali: l’oftalmico, il mandibolare e il mascellare, le principali strutture da essi innervati sono:

  • I denti
  • Il legamento paradontale
  • I muscoli mandibolari
  • Il muscolo tensore del timpano
  • La muscolatura che controlla l’apertura e la chiusura della tromba d’eustachio
  • La mucosa dei seni paranasali
  • Le ATM
  • Regola il flusso sanguigno dei 2/3 anteriori del cervello attraverso la dura madre

Se si osserva il sistema nervoso e lo confronta con un sistema di cablaggio elettrico di in una casa, è più facile capire questi meccanismi complessi. Quando brucia un fusibile  del circuito di solito il tutto è dovuto ad un sovraccarico, cosa che potrebbe succedere se si collegano contemporaneamente due elettrodomestici che richiedono molta potenza in termini elettrici, questa problematica va a gravare su tutto il sistema che non funzionerà correttamente; mentre se scolleghiamo uno dei 2 elettrodomestici tutti gli altri sistemi funzioneranno normalmente. Così è per il nervo trigemino; è il più grande “fusibile” del nostro cervello che trasporta oltre il 50% del totale delle informazioni in ingresso alla nostra materia grigia.  Nel momento in cui questo “fusibile” si “brucia” avremo come conseguenza un malfunzionamento del sistema con i sintomi specifici correlati come emicranie, mal di testa tensivi , dolore dell’ATM, dolori condotto uditivo, orecchie ovattate ecc…

L’obiettivo del trattamento osteopatico on questo caso è andare ad individuare quale livello sovraccarica il sistema e quindi trattarlo come causa scatenante, in modo da diminuire il sovraccarico e far si che il sistema funzioni correttamente ed in equilibrio e che quindi la sintomatologia e la qualità della vita abbiano un notevole miglioramento.

I fattori scatenanti della nervalgia del trigemino sono molteplici (tralasciando quelli patologici e quelli di non competenza osteopatica):

  • Problematiche occlusali
  • Squilibri dell’atm
  • Deglutizione disfunzionale
  • Squilibri dei muscoli oculomotori
  • Squilibri cranio sacrali
  • Traumi diretti craniali
  • Squilibri della muscolatura masticatoria

Questo solo per citarne alcuni di carattere “funzionale”, è ovvio che ogni organismo e soprattutto ogni persona è una storia a se stante e necessita di un’ accurata valutazione osteopatica e diagnosi d’esclusione di problematiche di non competenza del professionista.

Analizziamo nello specifico l’ATM la quale  è strettamente associata con il nervo trigemino, che innerva circa il 40 % della testa e del viso. Questo nervo ha tre rami ed è coinvolto nelle seguenti funzioni e nell’innervazioni delle seguenti strutture anatomiche:

  • Funzioni masticatorie della mascella e della mandibola
  • deglutizione
  • Respirazione
  • fonazione
  • occhi
  • Orecchie
  • Seni paranasali e frontali
  • Denti

Il dolore associato all’ ATM si trasmette attraverso le strutture nervose e può causare dolore riferito in altre parti della testa e del collo. Alcuni dei sintomi del disturbo dell’articolazione temporomandibolare comprendono:

  • Il click dell’ATM
  • Crepitio proveniente dell’ATM durante la sua mobilizzazione
  • Mal di testa, tra cui emicrania
  • acufeni
  • Vertigini
  • cervicalgia

Molti di questi sintomi sono direttamente collegati al legame anatomico e funzionale che c’è tra ATM e nervo trigemino.

Molti considerano il disturbo temporo-mandibolare come una problematica a lenta insorgenza, a meno che non ci sia una sorta di trauma diretto, la maggior parte delle persone non sono neanche a conoscenza che i loro sintomi sono associati ad uno squilibrio dell’ATM. Sperimentano nel tempo una miriade di episodi apparentemente non correlati di dolore e disagio. . In realtà, lo squilibrio c’è ed è presente da tempo, ma siamo in grado di controllare i sintomi, attuando continui adattamenti. I pazienti spesso cercano il trattamento quando le loro capacità di adattamento sono esaurite.

L’assenza di  dolore severo non significa che lo stato neuromuscolare dell’ATM ed un’ eventuale disfunzione correlata, non stiano influenzando negativamente la nostra vita. E’ sorprendente come molte persone lamentano disturbi vari, ma non riflettono su un eventuale  trattamento finché la sintomatologia non diventa importante e limitante sulla qualità della vita.

Stefano Fiocchetti Osteopata DO MROI

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QUANDO IL MAL DI TESTA “PARTE” DAL COLLO – LA CEFALEA CERVICOGENICA

Headache

Nel precedente articolo sulle cefalee abbiamo focalizzato la nostra attenzione su una delle possibili cause scatenanti tale problematica, ovvero le problematiche della mandibola e della sua articolazione principale: l’ATM.

Oggi andiamo ad analizzare quei mal di testa che scaturiscono da una problematica cervicale o dorsale, uno squilibrio che s’instaura a livello delle spalle o dello stretto toracico superiore.

Prima d’inoltrarci nella descrizione specifica, vorrei sottolineare una cosa fondamentale e basica ma proprio per questo spesso dimenticata, ovvero quello di eseguire una corretta respirazione, soprattutto un tipo di respirazione consapevole e naturale.

Questo tipo di respirazione, se messa in atto, porta benefici a tutto l’organismo su tutti i livelli ovvero: biomeccanico/ posturale, viscerale/biochimico e psico/emozionale. Nello specifico dell’argomento trattato in questo articolo, una respirazione consapevole, anziché prevalentemente toracica (come nella stragrande maggioranza delle persone) comporta un minor uso dei muscoli accessori e secondari della respirazione (situati in gran parte nella zona del collo e delle spalle) e quindi una minor tensione della zona cervicale e delle zone limitrofe, se volete approfondire l’argomento “respirazione” vi consiglio di leggere questo articolo da me realizzato per il team Oukside.

IL “TORCICOLLO”

Il dolore acuto al collo può essere comunemente denominato “torcicollo”. Solitamente è una problematica acuto e dolorosa causata da spasmi muscolari. Nelle forme più complesse e più strutturate la cervicalgia può assumere caratteri di cronicità, con dolore moderato o grave che dura da qualche giorni fino a 4/6 mesi.

Sintomi

Il dolore è solitamente percepito nella zona del collo, ma può anche irradiarsi lungo le braccia o la parte superiore della schiena. Il paziente spesso ha la testa inclinata o ruotata da una lato, di solito dal lato doloroso, e quindi vi è una perdita della normale mobilità  del collo. Questa condizione più spesso si verifica nelle articolazioni mediane della  colonna cervicale, la causa più probabile può essere una limitazione funzionale di tali articolazioni, associata a dolore e ipomobilità.

 

Come può essere d’aiuto l’osteopatia?

L’osteopata  può aiutare riducendo lo spasmo muscolare nella zona e mobilizzando l’articolazione. Si possono utilizzare tecniche dirette di allungamento attivo del muscolo (muscle energy) oppure tecniche indirette funzionali. A seconda della gravità della lesione, potrebbero essere necessari alcuni trattamenti per risolvere lo spasmo muscolare e ritrovare il normale range di movimento e la normale postura della testa. Prima di fare la valutazione specifica ed il trattamento l’osteopata dovrà indagare bene la causa scatenante la sintomatologia eseguendo una corretta diagnosi d’esclusione ovvero casi di non propria competenza, soggetti che necessitano di approfondire con altri esami o di un’ eventuale visita medica/specialistica.

LA CEFALEA CERVICOGENICA

La maggior parte delle persone non conosce la correlazione esistente tra il dolore cervicale e la cefalea, spesso infatti il mal di testa ha una causa scatenante a livello delle strutture del collo (articolazioni, muscoli, fasce ecc..) cosa che può avvenire per diversi motivi . Il termine cervicogenico, infatti,  è usato per descrivere quel mal di  testa che ha origine a livello della  colonna vertebrale (in particolar modo colonna cervicale e dorsale) , collo, parte superiore delle spalle e stretto toracico superiore. Questo tipo di dolore può essere il risultato di un colpo di frusta, di un trauma muscolare o problematiche cervicali locali o squilibri posturali. Anche la postura che si assume stando davanti a un computer, uno smartphone o un tablet, può generare questo tipo di mal di testa, a tal riguardo v’invito a leggere l’articolo riguardo la sindrome Text Neck.

 

La diagnosi della cefalea  può risultare abbastanza complessa in quanto molti sintomi si sovrappongono e non sono uguali per tutti. La cefalea cervicogenica è presente con modalità diversa negli individui; alcuni presentano sintomatologie dolorose di entità medio grave, mentre altri sperimentano delle sintoamtologie croniche di minore entità ma prolungate nel tempo e “noiose” . A volte il dolore è presente a livello della parte superiore , laterale e posteriore del cranio, mentre altri avvertono un dolore a livello del porzione posteriore del bulbo oculare.

 

Il dolore ha spesso origine dalla base del collo e si diffonde verso l’alto e spesso (ma non sempre) su entrambi i lati della testa. Questo perché i nervi responsabili del dolore decorrono all’interno del cranio dalla base della testa, lungo i lati, e la zona degli occhi. L’intensità è variabile e il dolore oscilla da lieve a medio-grave.  Le cefalee cervicogeniche sono spesso difficili da diagnosticare, soprattutto perché le persone che soffrono di emicrania hanno delle problematiche strutturate su più livelli.

Molto spesso individuare e trattare degli squilibri posturali e quindi i recettori “squilibrati” porta ad una remissione totale o ad un miglioramento notevole della sintomatologia e soprattutto ad evitare recidive future.

Come possono essere trattate queste cefalee?

Se soffrite spesso di dolore cervicale e mal di testa, come sintomi isolati o combinati “non è necessario soffrire”, può essere utile infatti eseguire una valutazione osteopatica con relativo trattamento. Il trattamento per il mal di testa spesso include il trattamento diretto (muscle energy) o funzionale  dei  muscoli della testa e del collo, manipolazioni dirette o indirette delle articolazioni cervicali, dorsali, delle spalle, dello stretto toracico superiore e le tecniche neuromuscolari cranio sacrali applicare al cranio, alla cervicale superiore e al massiccio facciale. Da non dimenticare assolutamente gli squilibri posturali in particolar modo quelli derivanti dall’apparato stomatognatico (bocca e strutture annesse), dei muscoli oculomotori, la deglutizione e la postura della lingua.

Lo scopo del trattamento osteopatico sarà quello di ristabilire il massimo equilibrio possibile nelle strutture organiche descritte sopra e di ridare all’individuo un equilibrio organico dal punto di vista Biomeccanico/posturale, viscerale/biochimico e psico/emozionale.

Stefano Fiocchetti Osteopata DO Mroi

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CEFALEA, EMICRANIA? NESSUNO VI HA MAI DETTO CHE LA RESPONSABILE POTREBBE ESSERE LA VOSTRA MANDIBOLA?

migraine 2

Mal di testa e dolore nella zona mandibolare possono essere sia fisicamente che emotivamente debilitanti. Queste condizioni non sono solo dolorose, ma possono influenzare la concentrazione, i sensi e anche la capacità di comunicare normalmente. L’Osteopatia può delicatamente alleviare e prevenire il ripetersi di molti tipi di mal di testa

DOLORE MANDIBOLARE

Il “dolore mandibolare” è talvolta chiamato disordine temporomandibolare (TMD), a causa delle articolazioni colpite. Le articolazioni temporo-mandibolari (ATM) si trovano proprio di fronte alle orecchie, dove la mandibola si articola con il cranio e nello specifico con l’osso temprale . Il dolore è di solito avvertito in questa zona e può anche irradiarsi intorno alle guance e della mandibola  alle orecchie. L’ ATM  può fare clic quando si apre o si chiude la bocca e può sentirsi “bloccata” o “limitata” nei movimenti . Le persone con dolore all’ATM possono anche sperimentare mal di testa e acufeni.

tmj muscles

Quali sono le cause del dolore mandibolare?

Può essere causato o aggravato da:

  • Bruxismo, serramento prolungato o deglutizione disfunzionale
  • “Usura” dell’ ATM a causa di osteoartrite
  • Tensioni legate allo stress
  • Traumi diretti subiti al volto o alla mandibola stessa
  • Morso irregolare a causa di mal posizionamenti dentali, edentulie, impianti ecc..
  • A volte la causa è sconosciuta

Come può essere d’aiuto un osteopata nel trattamento del dolore mandibolare?

Il dolore mandibolare è solitamente dovuto ad una limitazione o ad una ipermobilità di una o entrambe le ATM. L’osteopata ha lo scopo primario di ripristinare la funzione migliore possibile, sia nella zona da trattare che tutto il complesso sistema di muscoli circostanti, articolazioni e tessuto connettivo. Il trattamento può includere la manipolazione e la mobilizzazione del collo, la parte superiore della schiena e dei muscoli facciali. In alcuni casi può consigliare semplici esercizi da fare a casa. Quando cefalea e acufeni  sono legati a problematiche dell’ATM, il trattamento osteopatico può  essere determinante nell’ alleviare questi sintomi.

In alcuni casi può essere necessaria una valutazione odontoiatrica, per la valutazione di eventuali bite o interventi specifici.

CEFALEA, EMICRANIA

Le comuni emicranie rientrano in diverse categorie, alcune delle quali giovano del trattamento osteopatico specifico.

CEFALEA TENSIVA

E’ la tipologia di cefalea più comune . La sintomatologia associata è descritta spesso come un dolore costante su entrambi i lati della testa, come se ci fosse una banda stretta attorno al cranio. Questa tensione dura solitamente da 30 minuti a diverse ore, ma in alcuni casi si può arrivare a diversi giorni. La cefalea tensiva può essere causata o aggravata da stress, squilibri, digiuni prolungati oltre le 24h, disidratazione. In questi casi l’osteopatia può essere molto utile.

CEFALEA CERVICOGENICA

cervicale1

Queste sono solitamente cefalee unilaterali che interessano la parte posteriore della testa e del collo. Esse possono essere accompagnati da nausea, vertigini, visione offuscata e difficoltà nella deglutizione. I mal di testa cervicogenici sono causati da restrizioni o traumi a carico delle articolazioni del collo (rachide cervicale) i quali possono dare cefalee

EMICRANIE

Le emicranie sono unilaterali, un mal di testa pulsante che interessa il frontale o la parte laterale della testa. Essi possono durare da ore a giorni, e sono spesso accompagnati da nausea, vomito e una maggiore sensibilità alla luce o ai suoni. Alcune persone sperimentano un “aura” o luci lampeggianti prima dell’inizio dell’ emicrania. Si ritiene che vari trigger possono influenzare la innervazione e la vascolarizzazione del cervello, scatenando le emicranie. I trigger possono essere:

EMOZIONALI – lo stress, l’ansia e la depressione (in questi casi l’osteopatia può essere risolutiva o portare a grandi miglioramenti)

FISICI – problematiche di sonno, squilibri posturali, tensione cervicale e a livello delle spalle (in questi casi l’osteopatia può essere risolutiva o portare a grandi miglioramenti)

ORMONALI – ad es. intorno al periodo ovulatorio o mestruale (in questi casi l’ osteopatia può essere un adiuvante affiancata ad altre terapie fisiche o farmacologiche)

ALIMENTARi – alcool, pasti irregolari, eccesso di caffeina, alimenti specifici (in questi casi l’osteopatia può essere utile solo in un secondo momento quando questi fattori sono stati eliminati o ridotti)

FARMACOLGICI – sonniferi, contraccettivi combinati ecc.. (in questi casi l’osteopatia non può essere d’aiuto)

IN CHE MODO L’OSTEOPATIA PUO’ ESSERE D’AIUTO NELLE CEFALEE?

Nella sua valutazione l’osteopata individuerà il tipo di mal di testa e la sua probabile causa scatenante. Il trattamento verrà incentrato prevalentemente sulla causa scatenante lo squilibrio ed in particolar modo la bocca e muscoli annessi, la lingua,  la testa, il collo e la colonna vertebrale superiore il tutto tramite manipolazione (diretta e indiretta) a livello articolare, le mobilizzazioni e le tecniche cranio sacrali.

ALTRI TIPI DI CEFALEE

Cefalea a grappolo, ipertensione cranica, nevralgia del trigemino e arterite temporale sono mal di testa meno comuni. La cefalea può anche essere causato anche da condizioni sottostanti più gravi. Se il mal di testa è iniziata dopo un trauma alla testa o si avverte un senso di prolungato disorientamento, confusione o vertigini, è importante consultare un medico.

Stefano Fiocchetti Osteopata DO MROI

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Il Rene – organo viscerale, strutturale ed emozionale

reni 

GENERALITA’ 

 Citando le parole di A.T.Still “ignoriamo se il rene sia un organo che faccia spuntare i denti o i capelli o se secerna un potente acido!”

Tutte le scoperte che riguardano la comprensione di questo organo, risalgono ai primi del ‘900 (e anche oltre), dimostrando che la sua comprensione è un fatto estremamente recente nonostante Still lavorasse sui reni e trattasse problematiche renali.

L’apparato urinario svolge nel suo complesso una funzione emuntoria (quando parliamo di rene, dobbiamo metterlo insieme a intestino, polmone, e a tutti gli organi che hanno un ruolo emuntorio nel nostro organismo) essendo deputato ad allontanare dal circolo sanguigno e riversare all’esterno prodotti del metabolismo, in particolare i prodotti azotati derivanti dalla degradazione delle sostanze proteiche. Rappresenta inoltre  la via di eliminazione di molti ioni (sodio, potassio, fosfati) e di acqua.

Pertanto è un organo che, insieme al colon e al polmone, ha una funzione emodinamica perché interviene nella regolazione dei liquidi corporei  dato che al suo interno passa il 21% della gittata cardiaca, interviene inoltre nella regolazione del PH, dell’equilibrio idrosalino e della pressione sanguigna .

Tutto ciò significa che il rene rappresenta un organo molto importante sul piano dell’”economia” del paziente.

I reni sono deputati alla formazione dell’urina e svolgono anche funzioni endocrine (producendo ormoni quali renina, eritropoietina e prostaglandine).

I reni sono degli organi  retroperitoneali, posti ai lati della colonna vertebrale nelle fosse lombari, dietro al peritoneo parietale posteriore.

I reni si estendono a livello del rachide lombare, dal margine inferiore di D11 al margine superiore di L3.

Il rene destro è piu’ basso del sinistro di circa 2 cm per il rapporto che contrae con il fegato  ed essendo piu’ basso il suo polo inferiore si trova a livello ombelicale, mentre il polo inferiore del rene sinistro è un po’ piu’ alto a livello di L2.

Da una visione posteriore, si nota come   il rene prende contatto con le ultime 2 coste, prevalentemente con l’11 e la 12, e che si trova proprio ai lati della colonna vertebrale e che ha dei contatti con tutta la parete muscolare posteriore.

Parliamo, quindi, di una stretta relazione sia vertebrale sia muscolare, motivo per cui, pur essendo un viscere, ha delle grosse ripercussioni a livello strutturale avendo delle relazioni dirette con la struttura stessa.

Quindi, pur essendo un organo difficile da reperire, da palpare (se non ci sono delle condizioni patologiche che lo rendono palpabile) e da trattare, è però di notevole importanza da un punto di vista strutturale per la sua relazione con il sistema parietale, oltre che importante da un punto di vista emodinamico visto che, come abbiamo detto, al suo interno passa il 21%  della gittata cardiaca.

 

Da un punto di vista osteopatico diamo al rene di destra importanza soprattutto da un punto di vista metabolico, essendo in relazione con il fegato, il duodeno e il quadro colico.

Il rene di sinistra è in relazione privilegiata con la sfera uro-genitale, grazie alle sue relazioni vascolari con la milza, l’ovaio e gli organi genitali esterni.

Quindi:

  • Rene destro (fegato) = è metabolico.
  • Rene sinistro (sfera uro-genitale) = sessualità, sensualità, riproduzione.

ANATOMIA

Il rene ha la classica forma di un fagiolo, è di colore rosso-bruno, è lungo 12 cm, largo 6 cm, spesso 3 cm e pesa circa 150-160 gr.

Il rene presenta:

  • una faccia anteriore (convessa).
  • una faccia posteriore.
  • un polo superiore.
  • un polo inferiore.
  • un margine mediale (concavo): è quello che guarda la colonna vertebrale ed è quello sul quale troviamo l’ilo, cioè il punto in cui entrano ed escono i grossi dotti e vasi.

All’interno dell’ilo passano: l’arteria renale, la vena renale (che entrano) e l’uretere (che esce).

Questi vasi hanno una loro disposizione dall’alto verso il basso: arteria renale, vena renale e uretere (che esce dal bacinetto).

Mentre, dal davanti al dietro troviamo: vena, arteria, pelvi.

L’asse del rene è obliquo cosa facile da ricordare perché avendo una relazione diretta con lo psoas e con la sua aponeurosi, sposa il decorso dello psoas che funge da binario nei movimenti fisiologici dell’organo durante le fasi respiratorie (mobilità dell’organo in riferimento alla respirazione diaframmatica).

Ciascun rene è avvolto da una capsula adiposa (in cui lo strato di grasso ha funzione protettiva ma anche termica perché il rene ha un’attività metabolica molto elevata per cui deve mantenere una temperatura stabile all’interno della loggia renale) ed è contenuto in una loggia fibrosa detta loggia renale delimitata da una fascia connettivale.

Questo tessuto connettivo retroperitoneale è dato dalla fascia trasversale che diventa fascia renale, quindi è la continuità della fascia trasversale.

In corrispondenza del margine laterale del rene, la fascia renale si suddivide in 2 foglietti:

  • fascia renale anteriore o prerenale.
  • fascia renale posteriore o retrorenale o postrenale.

RAPPORTI ANATOMICI125

I rapporti del rene sono mediati dalla capsula adiposa e dalla fascia renale e sono uguali posteriormente a destra e a sinistra, mentre anteriormente sono diversi perché si verrà a creare un rapporto speciale con determinati organi a seconda che si tratti del rene destro e del sinistro .

I rapporti anatomici piu’ importanti sono:

  • In alto: la ghiandola surrenale si trova sopra il rene, contenuta in una loggia propria, anatomicamente divisa da quella renale.
  • Indietro: i reni sono in rapporto con la colonna vertebrale D12-L2, con le ultime due coste K11-K12, con il diaframma, con lo psoas, con la fascia iliaca e con il muscolo quadrato dei lombi.
  • In avanti: il rene destro è in rapporto con il lobo destro del fegato, con l’angolo colico destro, con il secondo duodeno e con le anse del tenue che ricoprono tutto, mentre il rene sinistro è in rapporto con la milza, con la coda del pancreas (che passa proprio davanti ala rene), con l’angolo duodeno-digiunale e con la borsa omentale (attraverso questa abbiamo anche un rapporto indiretto con lo stomaco).
  • Internamente (margine mediale): i reni hanno rapporti con la catena latero-vertebrale ortosimpatica. Sempre su questo margine, ma piu’ in fuori e indietro hanno rapporti con il 12° nervo intercostale, i nervi ileoipogastrico, ileoinguinale, femorocutaneo e genitocrurale.

Questo è molto interessante perché ci spiega alcune delle sintomatologie del rene, per cui una problematica di rene può dare delle sintomatologie irradiate di tipo genitocrurale, femorocutaneo, ilioipogastrico o ilioinguinale, oltre che dolori intercostali di tipo nervoso (nevralgie).

  • Il polo superiore di ciascun rene è sovrastato dalla rispettiva ghiandola surrenale, che si spinge un po’ anche sul margine mediale e sulla faccia anteriore.
  • Il polo inferiore dista dalla cresta iliaca circa 3 cm a destra e circa 5 cm a sinistra.

 

CONFORMAZIONE INTERNA

Il rene è rivestito da una capsula fibrosa data da una membrana connettivale dalla cui superficie interna si dipartono esili tralci che si addentrano brevemente nel parenchima renale.

Facendo una sezione frontale del rene, possiamo vedere come la sua configurazione interna è rappresentata da 2 zone ben visibili al microscopio:

  • una zona corticale (esterna).
  • una zona midollare (interna).

La zona midollare è di colorito rossastro.

Ha un aspetto striato ed è organizzata in 8-18 formazioni coniche dette piramidi renali di Malpighi che con la loro base periferica continuano anche nella sostanza corticale, mentre con il loro apice sporgono con le papille renali nel seno renale.

L’estremità libera delle papille (detta area cribrosa) presenta 15-30 forellini (i forami papillari) che corrispondono allo sbocco dei dotti papillari.

La zona corticale è di colorito giallastro.

Rappresenta la superficie dell’organo ma si inoltra anche a livello della midollare spingendosi anche tra le piramidi con le colonne di Bertin.

Il rene è formato da un parenchima e da uno stroma.

Il parenchima è rappresentato da un insieme di unità funzionali: i nefroni.

Lo stroma è di natura connettivale e contiene i vasi sanguigni, linfatici e le terminazioni nervose.

Il parenchima, quindi, è costituito dai nefroni che sono deputati alla funzione uropoietica (formazione dell’urina) e da un sistema di dotti escretori che convogliano l’urina verso l’apice delle piramidi renali, poi nei calici, fino ad arrivare al bacinetto renale, ureteri e vescica.

I nefroni sono circa 1 milione per ogni rene, quindi, sono delle unità funzionali molto presenti.

Il nefrone è costituito da un corpuscolo renale (o corpuscolo di Malpighi) e da un tubulo renale.

La maggior parte dei nefroni è contenuta nella corticale (circa l’85%) ma esiste anche una percentuale di nefroni iuxtamidollari situati vicino alla midollare.

I tubuli renali lunghi iniziano a fondo cieco e, dopo un decorso complicato, terminano nel sistema dei dotti escretori.

L’estremità dei tubuli si dispone come un calice intorno ad un gomitolo di capillari: questo tubulo che inizia a fondo cieco e poi prende la forma a calice prende il nome di capsula glomerulare di Bowman, mentre il gomitolo vascolare prende il nome di glomerulo.

Capsula e glomerulo formano insieme il corpuscolo renale.

 

Il tubulo (quindi la capsula di Bowman) presenta: una prima parte detta tubulo convoluto prossimale, una parte ad ansa detta ansa di Henle, una porzione detta tubulo convoluto distale, infine assume un andamento rettilineo diventando dotto collettore per andare poi in dotti sempre piu’ piccoli e avere l’escrezione.

I sottili dotti collettori di ogni unità funzionale (nefrone) si uniscono fra loro a formare dotti sempre piu’ ampi ed infine sboccano in un’ampia cavità centrale detta pelvi renale che è situata alla base di ciascun rene.

Dalla pelvi renale si forma l’uretere che percorre l’addome e poi sbocca nella vescica.

Per quanto riguarda il glomerulo, abbiamo già detto che il sangue entra nel rene con l’arteria renale che penetra nel parenchima dell’organo e poi si suddivide in rami sempre piu’ piccoli.

Ogni piccola arteria, a sua volta, emette una arteriola afferente che forma un batuffolo di capillari (il glomerulo che è avvolto dalla parete epiteliale che forma la capsula di Bowman), poi invece di formare capillari venosi, formano una arteriola efferente che va a formare una serie di capillari peritubulari intorno al tubulo restando intimamente in connessione con questo e, infine, questi capillari vanno a formare i capillari venosi attraverso i quali il sangue lascia il rene.

 

INNERVAZIONE

 

  • Componente Ortosimpatica: nervo grande e piccolo splancnico D10-L1, mentre per la surrenale D8-D11.
  • Componente Parasimpatica: nervo vago di destra.

Le due componenti si ricongiungono nei gangli aortico-renali.

VASCOLARIZZAZIONE

 

Il rene è vascolarizzato dalle arterie renali dx e sx.

Le arterie renali sono rami dell’aorta addominale e nascono subito sotto il tronco celiaco piu’ o meno a livello di L1 subito sotto la mesenterica superiore (anch’essa si trova a livello vertebrale di L1, quindi sono molto vicine visto che il livello di emergenza della mesenterica superiore corrisponde al livello di emergenza dell’arteria renale).

Le vene renali dx e sx drenano tutte e due nella vena cava inferiore.

Siccome l’aorta si trova, rispetto ai reni, anteriore e a sinistra, l’arteria renale dx è piu’ lunga rispetto alla contro laterale, mentre la vena cava inferiore che riceve le vene renali, è a destra, quindi la vena renale dx è piu’ corta rispetto alla sx.

Le vene renali dx e sx hanno, però, una caratteristica di drenaggio diversa: la vena renale sx è il passaggio di drenaggio della vena spermatica od ovarica di sx.

Questo vuol dire che, qualora ci sia un problema sulla vena renale sx, si possono avere ripercussioni a livello spermatico od ovarico.

Ricordiamo anche che la mesenterica superiore passa a ponte sulla vena renale sx, quindi, rappresenta una ulteriore possibilità di compromissione del drenaggio positivo della renale sx cosa che porta ad avere delle relazioni con le varie sintomatologie del tenue  per arrivare poi a delle problematiche ovariche o spermatiche.

Oltre al tenue tramite l’arteria mesenterica superiore, anche il fegato e la milza tramite la vena splenica, possono influenzare l’emodinamica del rene sx, creando quadri clinici d’idronefrosi, varicocele o cisti ovariche.

Quindi, è da ricordare questa particolarità anatomica: il drenaggio della vena spermatica/ovarica verso la renale sx e anche che mesenterica superiore passa a ponte sulla vena renale sx.

Le vene testicolari, spermatiche ed ovariche di dx, invece, drenano direttamente in vena cava inferiore.

 

FISIOLOGIA

La formazione dell’urina inizia con la filtrazione del sangue a livello del glomerulo, dove viene privato di quasi tutta la componente proteica e attraversa la parete capillare per entrare nella capsula di Bowman.

L’urina che si viene a formare e che poi viene escreta ha una composizione molto diversa da quella del filtrato glomerulare perché, man mano che scorre nel tubulo, viene modificata nella sua composizione.

I due procedimenti che all’interno del tubulo modificano il filtrato glomerulare sono chiamati riassorbimento e secrezione tubulare.

Questo vuol dire che se c’è il passaggio di una sostanza dal tubulo ai capillari, in virtu’ dell’intimo rapporto tra i due, si ha il recupero di questa sostanza per rimetterla in circolo (riassorbimento), mentre se c’è il passaggio di una sostanza dai capillari al tubulo, la sostanza verrà eliminata (secrezione).

La permeabilità, soprattutto della parte distale del tubulo, cioè la possibilità dell’acqua di passare nelle ultime porzioni del tubulo, è sotto il controllo dell’ormone ADH (ormone antidiuretico o vasopressina) che è di formazione ipotalamica .

In assenza di questo ormone, la permeabilità dell’acqua nel tubulo è molto bassa, cioè vuol dire che  l’acqua diventa incapace di seguire il sodio e resta nel tubulo per essere escreta, di conseguenza il paziente forma un grande quantitativo di urine.

La presenza di ADH, quindi, è fondamentale per il riassorbimento dell’acqua.

La corteccia surrenale ( sotto controllo neurovegetativo o di  ormoni locali) produce un ormone, l’aldosterone, che stimola in modo specifico il riassorbimento del sodio soprattutto da parte dei tubuli distali.

La secrezione dell’aldosterone è regolata, oltre che da riflessi neurovegetativi , anche da ormoni di provenienza renale.

Infatti, all’interno del rene ci sono delle cellule specializzate, presenti nella tunica interna delle arteriole intrarenali, che sintetizzano e secernono nel sangue una proteina detta renina.

Glii ormoni, sia quelli dell’asse ormonale sia quelli locali sono sempre prodotti in maniera inattiva e poi devono essere attivati, per cui, la renina attiva un precursore, un ormone locale che è l’angiotensinogeno, il quale poi si scinde in un piccolo polipeptide che è l’angiotensina.

L’angiotensina è un potente stimolatore della secrezione di aldosterone surrenale

L’angiotensinogeno, inoltre, è una proteina sintetizzata dal fegato (c’è una relazione biochimica con il fegato) ma è comunque sempre presente nel circolo ematico, quindi, viene attivata ad angiotensina qualora la renina senta l’esigenza dell’angiotensina, ovviamente, tutto ciò è regolato da meccanismi di feed-back molto fini.

La renina, a sua volta, è stimolata da:

  • Nervi simpatici renali (neurovegetativo, come abbiamo detto).
  • Diminuzione del volume del liquido extracellulare.
  • Riduzione del sodio corporeo.

Nell’uomo, il volume medio di liquido filtrato nella capsula di Bowman è di circa 180 litri al giorno e, se nell’uomo sono presenti circa 3 litri di plasma, questo vuol dire che tale volume ematico passa e viene filtrato dai reni circa 60 volte al giorno.

Questa capacità di trattare il plasma spiega la funzione di escrezione fondamentale del rene.

Possiamo, quindi, immaginare che lavoro sia questo della filtrazione renale, è un lavoro enorme che motiva il fatto che un disfunzione di rene ha un impatto energetico sull’organismo molto importante.

L’ormone ADH, invece, è prodotto dall’ipotalamo.

Quindi, l’ADH passa nell’ipofisi posteriore e da qui viene liberato nel sangue.

Le cellule ipotalamiche ricevono, per la produzione di ADH, degli input che derivano da numerosi barocettori vascolari.

Si tratta di barocettori vascolari perché abbiamo detto che l’ADH serve alla regolazione dell’acqua, quindi, se regola il quantitativo di acqua corporea, indirettamente regola anche la pressione.

Pertanto, questi barocettori vascolari, daranno gli input per la produzione o l’inibizione dell’ADH.

Cosa molto interessante è che uno dei gruppi piu’ importanti di questi barocettori per la stimolazione o inibizione si trova localizzato nell’atrio sinistro del cuore perché, a seconda del volume ematico che arriva all’atrio, ci può essere una stimolazione o una inibizione dell’ADH per regolare il volume.

Infatti, se i barocettori sono stimolati da un aumento pressorio forte, trasmettono una inibizione della produzione di ADH tramite vie ascendenti all’ipotalamo perché vuol dire che c’è troppa acqua, viceversa se c’è una diminuzione della pressione atriale, viene immediatamente incrementata la sintesi e la liberazione di ADH in modo tale che ci sia un aumento del volume di acqua.

 

In definitiva, possiamo capire che ogni sostanza, per essere riassorbita o escreta, sarà sotto il controllo di determinate sostanze e non solo di riflessi neurovegetativi.

SINTOMATOLOGIA DERIVANTE DA UNA DISFUNZIONE FISIOLOGICA O PARAFISIOLOGICA DEL RENE

  • Dolore dorsale o intercostale basso, dato dalla relazione con le coste, con il nervo intercostale, con la colonna dorsale vista l’innervazione ortosimpatica neurovegetativa.
  • Dolore lombare, soprattutto nella zona fino a L3 perché c’è una relazione anatomica con le fasce, soprattutto la postrenale.

Il dolore lombare è soprattutto mattutino, tende a svegliare il paziente e si attenua con il movimento.

  • Dolore cervicale basso.
  • Nevralgia: intercostale, addomino-genitale, genito-crurale (dolore inguinale, al testicolo o alle grandi labbra), femoro-cutanea (parte antero-laterale della coscia), crurale e otturatoria (anca, parte interna della coscia e del ginocchio), perchè c’è una relazione con tutto il plesso lombare.
  • Contrattura bilaterale dei muscoli psoas e quadrato dei lombi.

Lo psoas è un grande indicatore del rene, perché se c’è una disfunzione renale automaticamente si avrà una contrattura dello psoas così come del quadrato dei lombi.

  • SEGNI CLINICI ASSOCIATI: prurito agli arti (il rene è un organo emuntore e, quando un organo emuntore funziona male, si avranno tutti i segni di una intossicazione e, in questo caso, si tratta soprattutto di accumulo di sostanze azotate che si fissano o a livello articolare o a livello della cute determinando prurito o dolore, edema-gonfiore alle mani e agli occhi (per ritenzione di liquidi visto che il rene è un organo che gestisce i liquidi), sete, segni clinici genito-urinari (sindrome premestruale, infezioni genitali, oliguria, congestioni pelviche), astenia, disfunzioni della sfera sessuale, ipertensione .

 

FISIOLOGIA OSTEOPATICA

 

Il rene compie i suoi movimenti intorno ad un asse obliquo che si dirige in basso-avanti-fuori sul binario dello psoas (che veicola i movimenti del rene soprattutto in avanti e in fuori).

DISFUNZIONI OSTEOPATICHE

Il rene destro è in rapporto anatomico con il fegato, con il quadro colico e con il duodeno, per questo, da un punto di vista osteopatico, si dice che il rene destro è metabolico, cioè risente di piu’ di tutte le problematiche metaboliche relazionate al fegato, invece, il rene sinistro ha piu’ relazioni con la sfera uro-genitale soprattutto di tipo vascolare, ed è in rapporto con la milza, con l’ovaio e con gli organi genitali.

PTOSI

La ptosi renale è una patologia molto frequente, statisticamente piu’ frequente nelle donne (nelle donne dopo i 50 anni il 25% presenta una ptosi renale piu’ frequente a destra).

Le ptosi renali gravi, a volte, danno delle sintomatologie un po’ piu’ lievi delle ptosi renali lievi, cosa che può sembrare strana, ma probabilmente c’è anche una perdita di alcune informazioni propriocettive e nocicettive, cioè in una ptosi renale grave c’è una perdita informazionale per cui tutte le sintomatologie tipiche della ptosi si interrompono ma iniziano i sintomi urinari (piu’ organici) come se l’organo si mostrasse individualmente e non tramite le sue relazioni.

Il rene destro ha la tendenza ad avere molte piu’ disfunzioni rispetto al sinistro, quindi è piu’ soggetto a ptosi, perché ha una relazione con ceco e colon ascendente, dove è molto piu’ frequente che ci siano delle aderenze cicatriziali date da appendicectomie , quindi, è molto piu’ facile che il colon ascendente perda la sua mobilità per delle cicatrici portando la fascia di Told a trazionare il rene destro verso il basso.

Inoltre, il rene destro è anche relazionato al fegato il quale dipende per sostegno dal diaframma, così come tutti i visceri addominali, ma essendo il fegato un organo molto pesante, risente molto della mobilità del diaframma.

Visto il diaframma, per funzionare bene ha bisogno di una buona mobilità toracica, cioè una buona espansione e retrazione polmonare, questo rappresenta una ulteriore aggravante del fatto che spesso i disturbi polmonari fanno perdere al diaframma la sua normale escursione e, tramite il fegato, spingono verso il basso il rene destro.

Per questi motivi è piu’ frequente trovare in ptosi il rene destro: per le sue relazioni con il ceco e con il colon ascendente e per le maggiori relazioni con il fegato e con il polmone.

Il rene sinistro, invece, si trova in una condizione di migliore adattabilità perché sotto abbiamo un viscere vuoto, a differenza del rene destro dove abbiamo un viscere che pesa 2 kg, per questo a sinistra le disfunzioni polmonari danno meno ripercussioni sul rene.

 

Inoltre, abbiamo anche detto che il rene sinistro è collegato al rene destro dalla fascia, ma nonostante questo collegamento, non sempre una ptosi renale da un lato corrisponde ad una ptosi renale dall’altra parte

E ancora, a sinistra abbiamo la milza che è piu’ piccola e lo stomaco che è vuoto, per cui il rene sinistro ha meno pressioni dall’altro, oltre al fatto che le cicatrici del colon discendente sono molto meno frequenti del colon ascendente.

Per il rene sinistro è importante da ricordare la sua relazione uro-genitale, perché può dare problemi all’ovaio e al testicolo, oltre che disturbi sessuali visto che ha una fortissima componete emotiva (si è notato che in tutti gli eventi emotivi molto forti, all’inizio improvvisamente il rene sinistro scende e, alla risoluzione del trauma, riprende il suo posizionamento).

Bisogna ricordare, però, che quando parliamo di ptosi osteopatiche, non parliamo sempre di ptosi vere ma di adattamenti disfunzionali parafisiologici .

Questa è una cosa importante da chiarire, visto che quando  parliamo di ptosi renale osteopatica  non parliamo di ptosi organiche, forse l’unica a cui ci possiamo avvicinare è la ptosi che noi chiamiamo di III grado, cioè quella piu’ grave in cui probabilmente all’ecografia si può trovare un rene piu’ basso.

RUOLO EMOZIONALE DEL RENE

  • Il rene è una riserva di energia profonda, cioè quell’energia di riserva che ci aiuta ad uscire dalle grandi difficoltà fisiche ed emotive.
  • Il rene subisce: traumi gravi, dimagrimenti, depressione, parto, chirurgia e tosse cronica.

Questi sono i fattori che portano facilmente il rene in disfunzione, infatti, traumi gravi e depressione sono frequentissimi in persone che una disfunzione di rene, anche se poi non si sa se è la patologia renale o la disfunzione di rene a dare queste componenti emotive oppure se è la componente emotiva che favorisce la disfunzione.

  • Il rene è paura esistenziale profonda (della morte, dei fulmini, dei temporali, paura cosmica).
  • Il rene è paura che deriva da un evento vissuto con una connotazione di insicurezza, paura dell’abbandono, rabbia profonda, bisogno di superare se stessi, forza generosa, bisogno di dominare e la forza di convinzione è il suo scudo (perché ha paura e, chi ha paura, ha bisogno di controllare e di avere una forza di convinzione molto forte), pessimismo e stanchezza così come slancio e brio (a seconda che ci sia una stimolazione forte o una inibizione forte del viscere).

Dire “me la stò a far sotto dalla paura” ha un senso perché, come possiamo vedere, il rene rappresenta un po’ la paura (poi bisogna vedere la sfumatura di paura, perché anche il polmone è paura o altri visceri) perché rappresenta la paura esistenziale.

  • Su un paino emozionale, abbiamo detto che il rene destro è piu’ metabolico perché risente soprattutto del fegato (anche delle caratteristiche emotive del fegato), mentre il rene sinistro è piu’ legato alla sfera uro-genitale quindi alla sessualità, alla sensualità, alla riproduzione e al rapporto biologico con i genitori (pensare subito a questo quando troviamo una lateralità).
  • Dolore ai reni: paura che qualcosa attenti alla vita, impressione che tutto ci crolli a dosso.
  • Calcoli renali: paura di cui non riusciamo a liberarci oppure pensieri duri verso noi stessi o verso gli altri.

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IL COLON, FISIOLOGIA, BIOCHIMICA E PSICHE

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GENERALITÀ

Lungo circa 2 metri il quadro colico è il seguito del canale alimentare compreso tra lo sfintere ileo-ceco-colico e lo sfintere anale,  disposizione  anatomica che comprende le fosse iliache dx e sx, i fianchi dx e sx (per il colon), mesogastrio ( per il colon trasverso) ipogastrio (sigma e retto quest’ultimo passa a livello pelvico) gli angoli colici  dx e dx si trovano nell’ipocondrio corrispettivo. L’angolo colico dx  è incostante da un punto di vista anatomico per cui c’è un passaggio diretto tra colon ascendente e colon trasverso. Il grande omento ha un’inserzione sul margine anteriore del colon trasverso mentre il tenue ha una maggiore disposizione sulla parte sx per cui il colon discendente è più coperto rispetto al colon ascendente di sx.    Delimita la sfera addominale, non ha funzione digestiva, ma ha un’ estrema importanza da un punto di  vista biomeccanico e metabolico. Al suo interno avvengono fenomeni di  fermentazione, putrefazione dei residui alimentari ed assorbimento dell’acqua. Una disfunzione di una delle sue componenti genera segni clinici come   l’aerocolia, la colite, la stipsi, la diarrea, e il dolore lombare, che sono oggigiorno presenti in molti pz. Si può affermare che gran parte delle lombalgie ha un’origine viscerale, su base biomeccanica, emodinamica o i o neurovegetativa, nelle quali l’intestino  mesenteriale, il quadro colico ed i reni giocano un ruolo di primo piano.

ANATOMIA

L’intestino crasso ha un lume maggiore, rispetto a quello dell’intestino mesenteriale, passando progressivamente  dagli  8 cm del colon  ascendente  ai 3 cm del sigma e del retto. Il suo aspetto esterno è caratteristico. Eccetto il colon pelvico, presenta in tutto il suo decorso delle gibbosità che sono  separate le une dalle altre da solchi più o meno profondi ai quali corrispondono all’interno del lume le pliche semilunari. Presenta sulla sua superficie esterna tre bendellette longitudinali chiamate tenie del colon e sono presenti dei prolungamenti peritoneali riempiti di grasso denominati appendici epiploiche. Presenta quattro tuniche: mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa. È interessante notare subito che in caso di stasi idrogassosa e successiva infìammazione della mucosa, la permeabilità della stessa diminuisce. Questo, oltre  a creare un danno epiteliale, permette il diffondersi dei batteri e dei prodotti del loro metabolismo, creando un’infiammazione ed un edema interstiziale che può interessare le fasce, i muscoli e  gli organi adiacenti. La peristalsi è funzionale a quest’evento, consentendo il rimescolamento e la propulsione del contenuto intestinale verso l’estremità distale, prevenendo così la crescita eccessiva delle specie batteriche presenti e l’impianto di germi patogeni. Distinguiamo e denominiamo le diverse componenti del quadro colico:

  • Ceco
  • Colon Ascendente
  • Colon trasverso
  • Colon Discendente
  • Sigma
  • Retto

FISIOLOGIA

II quadro colico non ha funzione digestiva. La metà prossimale del crasso è deputata all’assorbimento   d’acqua, sodio, zuccheri e vitamine mentre la metà distale ha soprattutto la funzione di deposito delle feci. Nel colon avviene la secrezione di muco, ioni potassio e bicarbonato (il suo ph è alcalino e non acido). Il muco ha funzione di protezione della superfìcie epiteliale, lubrificazione  della massa fecale  e neutralizzazione dei prodotti acidi derivanti dal metabolismo batterico. Il crasso contiene un’importante flora batterica che ha molteplici funzioni metaboliche indispensabili per lo sviluppo e la funzionalità del tratto digerente, in primis l’eliminazione degli agenti potenzialmente pericolosi per l’equilibrio generale. Infatti, alcuni batteri della flora intestinale manifestano un effetto barriera alla colonizzazione intestinale da parte di germi patogeni. Provvedono inoltre alla decomposizione fermentativa dei glucidi e della cellulosa (carboidrati) prevalentemente nella metà destra del colon, e alla decomposizione putrefattiva di residui proteici nella metà sx.

Dalla flora batterica dipende la corretta maturazione morfologica e funzionale del tratto digerente, la metabolizzazione degli acidi biliari, della bilirubina, degli ormoni steroidei, delle proteine, degli zuccheri, dei lipidi e di diversi farmaci.

Importante è inoltre il suo ruolo nel controllo qualitativo e quantitativo della produzione di gas intestinali (azoto, anidride carbonica, ammoniaca), e nella sintetizzazione di vit. K2, Bl, B2, B12, acido folico e biotina. Naturalmente, l’alimentazione gioca un fondamentale ruolo di regolazione della condizione quali e quantitativa della flora e molte disfunzioni o patologie a carico del tratto intestinale sono da ritenersi secondarie a malnutrizione o cattiva associazione alimentare. La muscolaris mucosae è costituita da fìbrocellule muscolari lisce disposte in uno strato interno circolare e in un esterno longitudinale. Per quanto riguarda la funzione motoria possiamo distinguere a livello colico tre tipi di movimento:

  • I movimenti peristaltici segmentali non propulsivi , presenti in prevalenza a livello dell’ascendente e del trasverso, che hanno la funzione di rimescolamento locale al fine di favorire l’assorbimento soprattutto d’acqua.
  • Movimenti propulsivi, preponderanti nel colon discendente che favoriscono la progressione del materiale fecale verso il retto.
  • Due o tre volte durante la giornata si creano delle onde peristaltiche di massa, innescate dal riempimento gastrico e dal riflesso gastroileale. Queste investono coordinatamente e tutto il colon favorendo la progressione e l’accumulo del materiale fecale a livello sigmoideo e rettale. La motricità intestinale partecipa  alla regolazione della composizione della flora batterica intestinale e consente il rimescolamento e la propulsione del contenuto intestinale verso l’estremità distale creando un meccanismo di difesa a livello colico.
  • Il retto normalmente è vuoto, ed il suo riempimento e la successiva tensione delle pareti danno inizio alla defecazione.

FISIOLOGIA OSTEOPATICA

LA MOBILITÀ DEL QUADRO COLICO

Il quadro colico subisce in maniera diversa l’impulso dato dai movimenti diaframmatici.

I due angoli sono sospesi al diaframma e quindi dipendono da quest’ultimo, mentre la parte inferiore dipende piuttosto dal pavimento pelvico.

Globalmente il quadro colico, si avvicinano  l’uno all’altro, attirati sulla linea mediana, mentre nello stesso tempo abbiamo visto che l’intestino mesenteriale si espande verso l’esterno. Questi movimenti sembrano essere funzionali ad una corretta ripartizione delle pressioni intra-addominali ed intracavitarie ed allo stesso tempo preservano la normale tensione a livello dei peduncoli vasculo – nervosi.

Una disfunzione a tale livello implica una riduzione della mobilità con ripercussioni sull’alternanza di movimento tra i singoli segmenti del colon, sul transito intestinale, sulla vascolarizzazione e l’innervazione locale.

DISFUNZIONI OSTEOPATICHE

Vi possono essere aderenze e fibrotizzazioni a livello delle singole pliche peritoneali che costituiscono i legamenti sospensori e stabilizzatori del quadro colico. Possono essere secondarie a disfunzioni segmentarie del coIon, disfunzioni parietali, infiammazioni locali, esiti di chirurgia addominale come le appendiciti, uroginecologica, su base alimentare o psicoemozionale. I processi infiammatori si localizzano più frequentemente nelle sedi dove la concentrazione di microrganismi della flora intestinale è maggiore, quindi dove c’è un’alterazione della motricità intestinale e una stasi. In questi casi si determinano danni alla mucosa, produzione di endotossine e sostanze tossiche, e la proliferazione anomala di batteri anaerobi. I batteri intestinali ed i prodotti del loro metabolismo possono attraversare la mucosa infiammata provocando un aumento della permeabilità intestinale e danno epiteliale.

SINTOMATOLOGIA E SEGNI CLINICI

Descriveremo per primi i dolori diretti e riferiti, in seguito i segni clinici gastrointestinali.

La sintomatologia è quanto mai ampia ed eterogenea anche in funzione della disposizione spaziale del quadro colico.

CECO

  • DOLORE in fossa iliaca interna dx, piega inguinale, sacroiliaca ed anca dx, contrattura dello psoas di dx. Nei casi d’irritazione peritoneale avremo il segno di Blumberg positivo (dolore vivo, quando si rilascia improvvisamente la mano che esercita la pressione) a livello del punto diagnostico di McBurney.

Il dolore appendicolare può dare anche dolori  a livello pilorico o gastrico per la presenza del riflesso gastroileale. Il pz può riferire dolori riflessi testicolari o alle grandi labbra (nervo genitocrurale), dolori all’ovaio, sulla faccia interna della coscia ed al ginocchio (nervo otturatore), o faccia anteriore della coscia (nervo crurale).

COLON ASCENDENTE, TRASVERSO e COLON DISCENDENTE

  • DOLORE sul fianco dx o sx, dolore a barra sottodiaframmatico e contrattura del quadrato dei lombi. Dolore dorsale e costale basso. Anche in questo caso vi possono essere dolori riferiti in funzione dei nervi che decorrono dietro le singole porzioni del quadro colico.

COLON ILEOPELVICO E RETTO

  • DOLORE in fossa iliaca sx e zona sovrapubica. Dolori riferiti nella piega inguinale e sacroiliaca di sx. Dolori lombari bassi (plesso lombare) e soprattutto sacrali. Dolori riferiti anche in questo caso all’anca, sulla parte anteriore o interna della coscia, ed al ginocchio. La lesione osteopatica è un problema circolatorio, di transito rallentato, d’infiammazione ed intossicazione locale, di spasmo, fibrosi o sclerosi tissutale. Il ceco ed il colon ileopelvico con le sue due radici rappresentano al meglio l’interrelazione tra sistema parietale, vascolare e viscerale. Una disfunzione ad uno dei sistemi crea inesorabilmente delle ripercussioni sugli altri due, con una sintomatologia e dei segni clinici locali ed a distanza.

Per quanto riguarda i sintomi digestivi ed i segni clinici a distanza possiamo avere:

  • DISTENSIONE e DOLORE ADDOMINALE (sintomo diretto) e sua risoluzione dopo l’evacuazione.
  • METEORISMO che è una produzione di gas fisiologica in questo caso è afisiologica
  • STIPSI disfunzione del quadro colico per problemi di peristalsi
  • Aumento della frequenza dell’alvo in coincidenza con la comparsa del dolore. Feci caprine o con presenza di muco.
  • DISIDRATAZIONE, per un alterato assorbimento dei liquidi od una loro perdita con le feci. L’assorbimento di acqua insieme ad altri visceri aiutano la digestione dei liquidi.
  • EDEMA assorbimento di acqua per uno squilibrio proteico. DOLORABILITÀ OSSEA e SEGNI TETANICI.
  • COLITE da fermentazione e putrefazione.
  • CISTITI, per diffusione transmurale dell’infiammazione (batteriche con il retto), ptosi e distensione del ceco.
  • RINITI, SINUSITI CRONICHE. Queste sono legate al difetto d’ eliminazione delle tossine ed alla tendenza all’autointossicazione del pz .
  • LOMBALGIE da stasi emodinamica, periartrite scapolo-omerali senza substrato anatomico.
  • MALESSERE (organo emuntore), per cui il pz ha un malessere generale perchè non evacua ed è intossicato, LETARGIA.
  • TENESMO non si evacua, sensazione di svuotamento incompleto. INCONTINENZA.
  • EMORROIDI (distensione rettale). VARICI. Segni di stasi emodinamica. Questi rientrano intutti i quadri clinici nei quali la disfunzione osteopatica, ad es. del quadro colico e dell’intestino tenue, ma anche del diaframma e del fegato influiscono direttamente sul drenaggio venoso. Questo deficit  può avvenire per compressione o stiramento diretto dei vasi, o per stimolazione neurovegetativa. I deficit vascolari ed i segni clinici possono interessare l’addome gli organi uroginecologici e gli arti inferiori.

EMOTIVITA’ DEL QUADRO COLICO: rappresenta la nostra capacità di rilasciare, lasciare andare  le emozioni  perchè è un organo di evacuazione.

Quando c’è un problema al colon c’è l’incapacità di rilasciare o di respingere un emozione per cui chi è stitico tende a trattenere le emozioni. Il pz diarroico fa passare le emozioni velocemente. Tutto cio’ dipende dalla tipologia del pz., dal suo percorso, dal funzionamento del viscere. Comunque entrano in gioco anche i neurotrasmettitori, gli ormoni, le sostanze biochimiche che stimolano certe zone comportamentali.

DIARREA: rifiuto ed eliminazione rapida di una situazione o di un idea dove ci si sente prigioniera.

STIPSI: collegato al trattenersi, troppo occupati, posticipo un bisogno, ricerca della perfezione perchè si ha paura di non essere amati, paura dell’abbandono.

COLICHE: stress, tensioni eccessive.

COLITE: perfezioni per paura del rifiuto o di non essere amato.

DIVERTICOLITE:  sentirsi schiacciati in una situazione senza uscita perchè si ha paura di reagire.

EMORROIDI: sforzo di resistere ad una situazione inadeguata.

RETTO: rappresenta il punto di arrivo.

 

VALUTAZIONE OSTEOPATICA

La valutazione osteopatica si esegue tramite test di densità e stiramento a livello delle singole porzioni del quadro colico. Nel primo  si valuta se il segmento esaminato è denso o morbido, in altre parole se il canale è dilatato, gonfio, e di quale natura è quest’espansione. Nel secondo caso si valuta se il segmento è allungabile o inestensibile, apprezzando se vi è una contrattura localizzata delle fibre longitudinali e circo- lari.

TRATTAMENTO OSTEOPATICO

Il trattamento varia a seconda della porzione del colon colpita da disfunzione, a livello viscerale locale verrà trattata ogni singola porzione ed i suoi relativi legamenti stabilizzatori, la mobilità e la motricità intrinseca, il tutto ovviamente inserito in un quadro generale di trattamento per il paziente specifico.

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IL DUODENO VISCERALE ED EMOZIONALE – “LASCIARE ANDARE” LE EMOZIONI – UNA CHIAVE DI LETTURA PER LE INTOLLERANZE ALIMENTARI

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Il duodeno è la prima porzione dell’intestino tenue, è lungo circa 30 centimetri.

L’origine del duodeno è UNA CHIAVE DI LETTURA PER LE INTOLLERANZE ALIMENTARI all’incirca all’altezza della prima vertebra lombare, a destra rispetto alla linea mediana, mentre la fine (flessura duodeno digiunale) si trova a sinistra della seconda vertebra lombare. Il duodeno si continua con il tratto di intestino detto digiuno. Il duodeno ha la forma di un tubo curvato ad anello incompleto, entro la sua concavità è compresa la testa del pancreas.

Il duodeno ha quattro porzioni:

ANATOMIA E RELAZIONI ANATOMICHE

–         PRIMA PORZIONE DUODENALE

Segue il piloro a lato della prima vertebra lombare e si dirige obliquamente verso sopra.

–         SECONDA PORZIONE DUODENALE

Discende verticalmente sopra illato destro della colonna vertebraledalla prima alla quarta vertebra lombare

–         TERZA PORZIONE DUODENALE

Ha una direzione trasversale, abbastanza concava verso il dietro, al davanti dell’eminenza vertebrale.

–         QUARTA PORZIONE DUODENALE

Breve, sale verticalmente sopra illato sinistro della colonna fino alla seconda vertebra lombare dove termina.

Il duodeno e’ lungo 25/30 cm e il suo diametro varia da 35mm ai 40mm. E’ posizionato sullo stesso piano del piloro. E’ formato da varie tuniche: quella con sierosa superficiale, quella muscolare e la sottomucosa , molto grossa e resistente.

Il duodeno e’ essenzialmente tributario dell’arteria gastroduodenale ramo del tronco celiaco e dell’arteria mesenterica superiore a partire dai due archi pancreatico duodenali superiore ed inferiore. La vascolarizzazione si completa con l’arteria pancreatica dorsale che nasce generalmente dall’origine della splenica o,a volte, dalla epatica comune. La vascolarizzazione venosa e’ a carico della vena porta e della vena mesenterica superiore. I vasi linfatici del pancreas e del duodeno si raggruppano in 4 gruppi:

-un gruppo superiore

-un gruppo inferiore

-un gruppo posteriore destro

-un gruppo posteriore sinistro.

IL duodeno e’ innervato dai nervi del plesso solare e del plesso mesenterico superiore.

FISIOLOGIA DEL DUODENO

L’acido cloridrico, gli aminoacidi e gli acidi grassi contenuti nel chimo, quando dallo stomaco si versano nel duodeno, stimolano la liberazione di ormoni locali la secretina e di colecitochinina (CCK) da parte della parete del duodeno. Questi ormoni stimolano a loro volta la secrezione di bicarbonato di sodio e di enzimi da parte del pancreas.

La formazione di CCK è inoltre determinata dalla concentrazione di lipidi, alivello digiunale, e glucidi a livello del bulbo duodenale.

La CCK stimola soprattutto la secrezione d’enzimi, che portano alla digestione dei grassi e delle proteine, e influisce sull’emissione d’insulina e glucagone.

La liberazione di secretina e di CCK inibisce anche la secrezione e la motricità dello stomaco, facendo si che il contenuto intestinale abbia tempo di essere neutralizzato, digerito e assorbito.

Il bicarbonato di sodio eleva il ph alla neutralità o debole alcalinità, per assicurare il funzionamento degli enzimi pancreatici e tamponare l’acidità gastrica. Si realizza in tal modo un sistema di controllo a feedback atto a mantenere la neutralità del contenuto intestinale.

Gli enzimi pancreatici agiscono sulle grosse molecole presenti nel chimo ed hanno azione proteolitica, amidolitica e lipolitica. La presenza di chimo duodenale stimola la liberazione enterica di pancreozimina che perviene anch’essa per via ematica al pancreas. In questo provoca la secrezione d’enzimi digestivi (amilasi, lipasi, tripsina, nucleasi, peptidasi) negli acini.

La secrezione enzimatica è anche sotto il controllo vagale. Gli enzimi proteolitici sono prodotti dal pancreas in forma inattiva (tripsinogeno) attivato a tripsina nel duodeno dall’enzima enterochinasi, presente nella mucosa intestinale, o da tripsina già attivata.

Queste soluzioni sono riversate in dotti che convergono a formare un singolo dotto pancreatico, il quale si unisce al dotto biliare a livello dello sfintere di Oddi.

La gastrina stimola fortemente la secrezione d’acido cloridrico e provoca la secrezione pancreatica di bicarbonato, assicurando così la neutralizzazione dell’acido nel momento in cui questo giunge nel duodeno. Stimola inoltre la secrezione di CCK, secretina ed enterochinasi ed aumenta il tono del LES.

La motilità e la secrezione dello stomaco sono inibite da riflessi che si scatenano a livello del duodeno. La distensione duodenale o la presenza in esso di acidi grassi, di aminoacidi o di acido cloridrico, costituiscono altrettanti fattori capaci di inibire la secrezione gastrica. Le vie sono le stesse di quelle che inibiscono la motricità: i nervi intrinseci e gli ormoni duodenali, secretina e CCK.

L’assunzione di un pasto, specialmente se questo contiene grassi, rilascia lo sfintere di Oddi e contrae la colecisti che riversa nel duodeno bile concentrata.

La funzione della bile è di frammentare i grossi globuli di trigliceridi in una sospensione di piccole goccioline. Questa emulsione favorisce la digestione e l’assorbimento dei grassi a livello intestinale.

Vediamo dunque che lo stomaco, il quadro duodeno pancreatico, il complesso epatico e vescicolare sono uniti da un punto di vista funzionale.

Il loro corretto funzionamento, la regolare funzione digestiva e d’assorbimento, si costruisce su di un biofeedback biochimico su base vascolare.

La corretta secrezione enzimatica e ormonale, il sincronismo sfinteriale e la motricità gastrointestinale si basano quindi sul regolare apporto arteriovenoso ed il corretto controllo neurovegetativo tra gli organi adiacenti.

La discinesia sfinteriale, la stasi duodenale, le disfunzioni del duodeno, pancreas e vescicola biliare sono le basi per disfunzioni più importanti quali il malassorbimento, le allergie e le intolleranze alimentari, che possono portare a loro volta verso quadri patologici più gravi.

SIGNIFICATO EMOZIONALE DEL DUODENO

La funzione del duodeno è di digerire, è la prima parte del tenue, ma il chimo sappiamo che deve sostare per il giusto tempo. Quindi rispecchia la nostra capacità di digerire e di assorbire ma anche di lasciar progredire, di andare oltre una emozione. Per cui da un punto di vista emozionale, la caratteristica legata al tenue è quella di lasciare andare le emozioni, per cui viceversa riguarderà tutte quelle emozioni disfunzionali che non riusciamo ad accettare, a cui ci ribelliamo ma senza riuscire a progredire in queste emozioni, quindi le emozioni che ci rodono dentro. Per esempio una situazione emozionale molto difficile che siamo impossibilitati a  risolvere (magari per un motivo esterno qualora vi fosse). L’ulcera duodenale può essere il risultato di una situazione inaccettabile che non riusciamo a risolvere e con cui continuiamo a convivere, corrodendoci (può essere anche un lutto non superato).

FISIOLOGIA OSTEOPATICA DEL DUODENO

L’arteria e la vena Mesenterica Superiore passano dentro il quadro duodenopancreatico, sotto la testa del pancreas.

Rappresentano quindi l’asse di mobilità attorno al quale avvengono i movimenti del pancreas e del duodeno durante la respirazione diaframmatica.

Durante l’inspirazione, il duodeno globalmente scende e ruota in senso anti-orario su di un piano frontale, inclinandosi a destra.

Segmentariamente possiamo notare che la parte iniziale di D1 è spinta da sinistra verso destra dallo stomaco, l’angolo D1-D2 verso il basso e sinistra dal feagato, l’angolo duodeno-digiunale si abbassa ed è spinto verso l’interno dal diaframma. D3 sembra avere un ruolo di cerniera tra i segmenti D1 e D4, al quale si avvicinano su di un piano sagittale e frontale.

Il duodeno complessivamente si chiude attorno al peduncolo vascolo-nervoso, scendendo e ruotando attorno all’arteria ed alla vena Mesenterica Superiore.

È interessante notare che il peduncolo arterio-venoso della Mesenterica Superiore diviene asse di rotazione per il quadro duodenopancreatico e l’intestino tenue mesenteriale. I due sistemi però, durante le fasi respiratorie, invertono i movimenti: discesa e rotazione antioraria per il duodeno, discesa e rotazione oraria per l’intestino tenue. Queste controrotazioni preservano dall’eccessivo stiramento dei vasi durante la fase inspiratoria e, abbinate ai movimenti espiratori, enfatizzano la dinamica vascolare.

TRATTAMENTO OSTEOPATICO

Uno sfintere o una porzione intestinale deve essere normalmente tesa per permettere la corretta diffusione dell’onda peristaltica e svolgere al meglio le funzioni di transito e assorbimento intestinale.

Possiamo trovare porzioni intestinali ipertoniche, rilevabili soprattutto ai test d’allungamento, e porzioni ipotoniche, dove la stasi locale è rilevabile con i test di densità.

Il trattamento consiste in tecniche fasciali dirette (recoil, stiramenti o vibrazioni), o tecniche indirette, funzionali d’induzione. Per le due, in ogni caso, la prerogativa sarà l’informazione propriocettiva data, che induce una normallizzazione del tono basale dell’organo o dello sfintere, e una regolazione della dinamica arterio-venosa locale.

Stefano Fiocchetti Osteopata DO MROI

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E se tutti i vostri sintomi fossero legati ad un’infezione cronica da Candida?

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Probabilmente uno degli stati di malattia meno riconosciuti, e purtroppo invece molto diffusi, è l’infezione cronica da Candida Albicans che assale il nostro organismo in maniera estesa, si organizza in colonie nei singoli organi, oppure si diffonde nell’ intestino, sua primaria residenza, verso obiettivi scelti con cura tra quelli meno difesi e floridi del nostro corpo. Questa infestazione dà origine a una serie di disturbi che ormai costituiscono una sindrome ben delineabile e identificabile, sebbene con una certa pazienza e costanza.

Che cosa è la candida?

È un fungo saprofita che, come molti altri microrganismi, condivide con noi una parte della sua esistenza e ci aiuta in alcuni processi metabolici (produzione di ormoni e digestione degli zuccheri). La presenza di candida alla stato simbionte non implica sintomi di alcun di alcun genere, fa semplicemente parte dei comuni costituenti del microbiota. Tuttavia la candida è un fungo opportunista ovvero in determinate situazioni organiche e biologiche  è in grado di trasformarsi da simbionte in aggressivo microrganismo patogeno, formando colonie popolose che parassitano il nostro corpo.

Principali tipi di candida:

  • Candida Albicans: responsabile di circa il 90% delle infezioni micotiche da candida
  • Candida Glabrata
  • Candida guilliermondii
  • Candida Krusei
  • Candida Tropicalis
  • Candida parapsilosis
  • Candida pseudotropicalis

 

In che modo s’instaura l’infezione da candida?

La teoria della sindrome da candida ipotizza che l’organismo si debilita in seguito a particolari vicende dell’esistenza ed il sistema immunitario (in particolare l’intestino) s’ indebolisce, la candida coglie l’opportunità per estendere il suo territorio all’interno del corpo umano, passando da forma innocua a quella patogena e dando luogo a una serie di problemi di salute anche molto gravi, colonizzando vari organi attraverso il flusso sanguigno. La trasformazione della candida da simbionte ad aggressiva corrisponde ad una sua trasformazione da lievito sporigeno a forma miceliale, questa dovuta in gran parte alla distruzione del microbiota (flora batterica). I motivi di questa distruzione (e quindi dell’indebolimento del sistema immunitario il quale risiede per il 70% nell’intestino) sono vari e tutti concorrono alla determinazione della situazione patologica:

  • Alimentazione errata
  • Uso eccessivo di antibiotici
  • Stress
  • Vaccinazioni
  • Terapie ormonali
  • Pillola contraccettiva
  • Intossicazione da metalli pesanti
  • Infezioni virali o batteriche ricorrenti
  • Errati stili di vita
  • Gravidanza
  • Problematiche mestruali
  • Patologie del metabolismo
  • Ecc…

La candida è capace di secernere circa 80 differenti tipi di tossine (alcune delle quali molto tossiche), ma sino a che il microbioma è sufficientemente in salute esso è in grado di mantenere l’equilibrio ed il controllo e quindi non permettere l’avanzamento dell’infezione. Quando l’ambiente intestinale non è più in equilibrio la candida muta forma e procede alla sua espansione. Il passaggio alla forma miceliale, documentata a livello scientifico, consente attraverso le ife ( una specie di rostri con dei tentacoli di 5-10 micron) di radicarsi agli strati più profondi delle pareti intestinali. Queste propaggini aprono così delle brecce attraverso cui frammenti di proteine e altre particelle non digerite, nonché le scorie tossiche secrete dai funghi e i prodotti del loro metabolismo, passano direttamente nel flusso sanguigno. Dato che queste sostanze non hanno nulla a che vedere con la normale situazione sanguigna, il sistema immunitario entra in azione per combattere quelli che ritiene essere degli invasori. Questa lotta, però, indebolisce nel tempo ancor di più il sistema immunitario. Esso arriva cosi a non riuscire più nemmeno a gestire le molecole non digerite finite nel sangue, che giungono a provocare allergie o intolleranze a quel cibo stesso da cui provengono e ai cibi che contengono frammenti della stessa proteina. La liberazione delle tossine della candida nel sangue dà l’avvio anche a vari sintomi patologici, inoltre l’invasione interferisce pure con l’assimilazione di nutrienti vari come vitamine, minerali e aminoacidi, concorrendo a indebolire ancor più l’organismo. L’instaurarsi di un circolo vizioso e di una cronicizzazione diventa allora abbastanza comune. L’apertura di questi passaggi attraverso le pareti intestinali consente alle spore di viaggiare nel flusso sanguigno verso nuovi “territori” da colonizzare.

L’invasione da candida

L’invasione da candida può essere paragonata alla patina del lievito del pane o ad uno strato di muffa che ricopre qualche alimento. Le ife di ogni singolo fungo s’ intrecciano con le ife delle altre unità cellulari a formare un unico organismo di grandi dimensioni. Le ife s’ intrecciano con il substrato delle parete intestinali creando passaggi e diventano un  tutt’uno con l’organismo che parassitano. Non si tratta di aggregati separati semplicemente adagiati sulla parete tessutale (per questo rimuovere un fungo è cosi difficile), anche rimuovendo il piano superficiale di crescita, le punte delle ife che sono penetrate nel profondo ricrescono sul terreno umido e infiammato. Anche le spore hanno una resistenza alle aggressioni esterne davvero incomparabile, possono vivere per anni dormienti e riprendere la propria attività appena le condizioni ambientali lo permettono, senza aver intaccato minimamente la propria vitalità.

Le “tappe” dell’invasione da candida

L’infezione da candida prosegue per tappe mano a mano che si verificano determinate condizioni biologiche, fisiologiche, di terreno:

  • La presenza iniziale della candida in forma simbiotica evolve in quella patogena al verificarsi delle condizioni di debolezza del sistema immunitario. La candida colonizza l’intestino e il tratto digerente con conseguente bruciore di stomaco, meteorismo, flautolenza, prurito anale, vertigini ecc…
  • Con l’indebolimento progressivo che ne consegue c’è il propagarsi ad altre zone corporee che porta ad altre patologie sia di organi interni che di superficie come il piede d’atleta, infezioni di cute e unghie. Le strutture simili a radici della nuova candida penetrano nel rivestimento dell’intestino permettendo cosi alle proteine non ancora digerite di passare nel torrente ematico. Il corpo le scambia per antigeni e risponde con reazioni allergiche che a loro volta riducono il potere del sistema immunitario.
  • Le colonie fungine trasformate in masse lanugionse (simili alla muffa del pane) penetrano nei tessuti per cibarsi e rilasciano le loro tossine che danneggiano i tessuti stessi e producono infiammazioni. Le conseguenze sono malattie di vario tipo secondo gli organi o i tessuti colpiti: vaginiti, diarrea, sinusiti, otiti, asma, lupus, sindrome premestruale, calcoli renali ecc.. In questo caso di diffusione sistemica l’organismo diventa sensibile a sostanze normalmente innocue come profumi, sostanze chimiche, pesticidi, gas di scarico ecc.. con manifestazioni di mal di testa, nausee ecc.. nei bambini, i sintomi di un’ infezione sistemica iniziano con otiti croniche e coliche
  • La colonizzazione arriva a interessare il sistema nervoso centrale producendo emicranie, irritabilità, letargia, confusione mentale, perdita di memoria, depressione, sbalzi d’umore ecc..
  • Nella fase finale della candidosi avanzata si può arrivare a disfunzioni della tiroide e altre disfunzioni organiche e ormonali sino al collasso surrenale. Secondo alcuni autori, la candida trasportata dal sangue e dalla linfa in tutto il corpo grazie alla presenza di acidosi può anche portare, in concomitanza con elevati stress dell’ organismo e conflitti di natura psicoemotiva, che indeboliscono ancor di più il sistema immunitario, al cancro.

Le cause dell’infezione da candida

Le cause dell’infezione non sono molte e sono da ricondursi spesso a condizioni particolari (prime tra tutte l’immunocompromissione o l’immunosoppressione) in cui si trova il soggetto in un determinato momento della sua vita. Possiamo in generale dire che la candidosi intestinale è frequente in:

  • Terapia antibiotica: persone che sono state sottoposte a terapia antibiotica la quale ha modificato, alterandola, la normale flora batterica intestinale, permettendo alla candida di proliferare e prendere il sopravvento.
  • AIDS: soggetti affetti da AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita, causata dal virus HIV), nei quali il sistema immunitario è fortemente compromesso a causa della malattia. Questo consente alla candida di riprodursi incontrollatamente.
  • Patologie autoimmuni: individui colpiti da patologie autoimmuni, in cui il sistema immunitario non funziona correttamente.
  • Trapianti: soggetti sottoposti a trapianto i quali devono assumere farmaci immunosoppressori. Tali farmaci riducono il funzionamento del sistema immunitario per impedire il rigetto del trapianto ma nello stesso tempo aumentano il rischio d’infezioni in quel dato paziente.
  • Elevata assunzione di zuccheri: soggetti che hanno un’alimentazione troppo ricca di zuccheri o che sono diabetici, in quanto per crescere in maniera ottimale la candida ha bisogno di moltissimo zucchero.
  • Neoplasie, radioterapia o chemioterapia: persone affette da neoplasie che si stanno curando mediante radioterapia o chemioterapia. Queste terapie, infatti, debilitano il sistema immunitario facilitando l’insorgenza d’infezioni.
  • Stress: soggetti eccessivamente stressati o ansiosi in cui lo stress cronico ha provocato un’immunosoppressione temporanea.

Sintomi dell’infezione cronica da candida

I sintomi della candidosi differiscono da persona a persona e dipendono dalla zona del corpo che è stata interessata.

Tra i sintomi si trovano:

  • Difficoltà a deglutire il cibo
  • Cattiva digestione
  • Dolori al basso ventre
  • Forte prurito anale
  • Bruciore anale
  • Minzione frequente
  • Infezioni recidivanti delle vie urinarie
  • Crampi addominali durante le mestruazioni
  • Diarrea o stitichezza
  • Orticaria
  • Forte dolore durante i rapporti sessuali
  • Bocca secca e sanguinamento delle gengive
  • Febbre
  • Muco nelle feci
  • Pancia gonfia o gonfiore addominale a causa della ritenzione idrica e del meteorismo.
  • Perdite vaginali bianche e sensazione di bruciore alla vagina
  • Forte prurito e sensazione di bruciore al pene
  • Ulcere
  • Sbalzi d’umore improvvisi e frequenti
  • Depressione e ansia
  • Vertigini
  • Arrossamento o irritazione nelle pieghe della pelle
  • Mal di testa.

Test medici per la diagnosi dell’infezione cronica da candida

Non è semplice diagnosticare la candida intestinale visto che la maggior parte dei sintomi sono riconducibili anche ad altre patologie, proprio per questo il medico consiglierà di eseguire alcuni esami clinici per accertare al meglio la natura del disturbo. In particolare eseguirà un esame istologico o esame delle feci. Il primo viene usato solo in casi estremi perché molto invasivo: consiste infatti nel prelevare parte di tessuto intestinale per esaminarlo e osservare l’eventuale presenza dei microorganismi. L’esame delle feci invece è completamente indolore e consiste nell’esaminare un campione di feci attraverso un’analisi di laboratorio. 
Quando la candida intestinale diventa patologica, cioè ha proliferato tanto da raggiungere tutto il sistema gastrointestinale, si può scoprire anche attraverso la gastroscopia.

Autotest per x candidosi cronica

Questionario diagnostico per l’individuazione di un’infezione da Candida albicans cronica e diffusa

  1. Avete fatto un trattamento antibiotico per almeno otto settimane consecutive oppure più breve ma ripetuto per almeno quattro volte in un anno?
  2. Avete assunto antibiotici per il trattamento dell’acne per un periodo di un mese o più?
  3. Avete assunto steroidi come prednisone, cortisone o ACTH corticotropina per lunghi periodi? (Per trattare dolori ecc. oppure problemi dermatologici come eczema, psoriasi o eruzioni cutanee)
  4. Avete preso la pillola anticoncezionale per più di un anno?
  5. Avete avuto (o ancora portate) un cerotto per terapia ormonale sostitutiva (HRT) per lungo tempo?
  6. Siete stati trattati con farmaci immunosoppressivi, chemioterapici o radiazioni?
  7. Avete avuto molte gravidanze?
  8. Avete problemi ricorrenti di cistite, vaginite, prostatite o uretrite?
  9. Avete ricorrenti infezioni di mughetto orale o vaginale?
  10. Avete accusato disturbi ormonali, inclusa sindrome premestruale e irregolarità mestruali?
  11. Avete sofferto di endometriosi?
  12. Soffrite di prurito anale e/o di eczema perianale?
  13. Avete sofferto o soffrite di piede d’atleta, tricofizia o di infezioni fungine delle unghie o della pelle?
  14. Siete particolarmente colpiti dall’esposizione alle esalazioni di sostanze chimiche, profumi, fumo di tabacco e simili? O questi sintomi peggiorano dopo aver mangiato cibi contenenti lieviti, zuccheri o alcolici?
  15. Soffrite di gonfiore o dolore addominale, flatulenza, diarrea o costipazione?
  16. Avete pruriti (anche al naso), formicolii o bruciori alla pelle? Oppure essa è insolitamente secca? O avete avuto episodi di rash cutanei?
  17. Desiderate fortemente cibi dolci, pane o alcool?
  18. Soffrite di disfunzioni sessuali, impotenza o di calo del desiderio sessuale?
  19. Avete avuto ripetute infezioni croniche multiple (vira- li, batteriche o parassitarie)?
  20. Soffrite di dolori muscolari, formicolii, intorpidimenti o bruciori che vi disturbano frequentemente per ragioni che non potete identificare?
  21. Soffrite di inspiegabili dolori e gonfiori alle articolazioni?
  22. Soffrite di depressione, sonnolenza, mente annebbiata, perdita di memoria o di concentrazione, senso di irrealtà, sbalzi d’umore, irritabilità?
  23. Vi sentite sempre stanchi, affaticati o avete sempre la temperatura corporea bassa?
  24. Soffrite di qualche allergia?
  25. Avete una capacità visiva irregolare o macchie davanti agli occhi?
  26. Avete spesso mal di testa, bruciori di stomaco (indigestione), afte?
  27. Avete problemi di respirazione (anche asma e tosse persistente), bocca secca, congestione nasale, gocciolamento retronasale, ipersensibilità e infezioni del- l’orecchio con secrezioni di liquido e cerume?
  28. Avete spesso lo stimolo a mingere o soffrite di bruciori alla minzione?
  29. Avete dolore o senso di costrizione alla regione toracica? O anche bruciori nella regione cardiaca?
  30. Siete affetti da diabete o paradiabete?
  31. Avete subito un grave conflitto psicoemotivo che vi tormenta?

Test della saliva

Questo test di autodiagnosi si effettua come segue: al mattino, al risveglio, prima di mettere in bocca qualsiasi cosa, stimolare la secrezione di un po’ di saliva e sputarla in un bicchiere di acqua pulita. Tenere sotto controllo il bicchiere per un periodo di tempo di massimo 30 minuti. Se da essa si sono formati dei filamenti che vanno verso il basso o se l’acqua è diventata torbida o ancora se la saliva è andata a fondo, avete sicuramente un problema che concerne la candida. Una saliva sana semplicemente galleggia in superficie.

Autotest delle urine per rilevare la presenza di candida:

Un auto- test casalingo abbastanza affidabile, almeno come primo indizio sul cammino dell’autoaccertamento, è il seguente: riempire un bicchiere della propria urina e coprirlo con un coperchietto. Lasciare riposare per ventiquattro ore. Se dopo tale periodo di tempo ci sono delle briciole giallastre nell’urina sarà meglio fare dei test più approfonditi perché le possibilità che ci sia un’infestazione sono elevate.

Esame delle feci per rilevare la presenza di candida:

Visto che la candida è normalmente presente nel nostro intestino, il fatto di trovarla nelle feci può non essere un indicatore attendibile poiché non sappiamo se è una presenza fisiologica o patologica, pertanto, per rendere attendibile l’esame, occorre bere la sera precedente un bicchiere di acqua con aceto di mele (tre cucchiai da minestra di aceto più acqua fresca sino a riempimento). Questa “pozione” infatti stacca le spore dei funghi dalla parete intestinale e snida ed evacua colonie ben nascoste. Pertanto, se dopo aver bevuto la “pozione” l’esame risulta negativo significa che è davvero negativo, se invece è positivo, significa che c’è uno stato di candidosi.

Come abbiamo visto in particolari condizioni fisiche in cui si può venire a trovare il soggetto si è più predisposti all’insorgenza di candida intestinale. La terapia può essere varia, farmacologica e naturale, sarà il medico in ogni caso dopo le indagini diagnostiche a indicare la terapia più opportuna per ogni singolo soggetto.

Cure: farmaci, alimentazione e rimedi naturali.

Rimedi naturali per curare la candidosi intestinale.

La terapia della candidosi intestinale basata su cure naturali prevede l’impiego di sostanze naturali, sia derivate dalle piante che da microrganismi chiamati probiotici, che hanno un’azione antimicrobica e antibiotica. Questa soluzione è da applicare in caso in cui la candidosi sia causata da stress o da alimentazione errata oppure da terapia antibiotica. Tra i rimedi possiamo citare:

L’utilizzo di GSE o estratto di semi di pompelmo:i quali contengono numerosi principi attivi come narginina, quercetina, apigenina ed esperidina che hanno proprietà antimicotiche.

L’uva ursina: che contiene eterosidi fenolici come l’arbutina, che le conferiscono proprietà curative contro i miceti e i batteri. È particolarmente attiva a livello vescicale ma può essere utilizzata anche come disinfettante intestinale per la candidosi.

Il bicarbonato: (un cucchiaino da sciogliere in acqua e da assumere due volte al giorno) aiuta ad alzare il pH e a creare quindi un ambiente basico che non consente la proliferazione della candida.

L’acido caprilico: un acido grasso che si trova nelle noci di cocco e nell’olio di semi di palma, che si utilizza in quanto è capace di distruggere la membrana cellulare della candida portando quindi a morte la cellula.

Probiotici: cioè microorganismi come i lactobacilli (in particolare Lactobacillus acidophilus) e alcuni lieviti (come Saccharomyces Boulardii) che sono in grado di ripristinare la flora batterica intestinale.

Somministrazione…

Le terapie naturali hanno una durata variabile che va da un minimo di 1 – 2 mesi qualora vi sia solo il sospetto di soffrire di candidosi intestinale, a un massimo di 3 – 6 mesi qualora vi sia l’effettiva conferma diagnostica di soffrire della patologia. La somministrazione avviene per via orale e la posologia varia in base alla gravità della situazione.

L’alimentazione è utile per combattere la patologia?

L’alimentazione è utile sia nel trattamento che nella prevenzione della patologia.

Importante sia nella prevenzione che nel trattamento delle candidosi intestinali è l’alimentazione in quanto una dieta scorretta priva di fibre e ricca di zuccheri semplici può portare all’insorgenza della patologia. Anche la “terapia” alimentare è utile in caso d’insorgenza occasionale. Chi soffre di candidosi intestinale non deve seguire una vera e propria dieta ma deve limitare o evitare il consumo di alcuni alimenti e prediligerne altri, in particolare:

Alimenti da evitare: sono da eliminare tutti gli alimenti che forniscono zuccheri semplici come i carboidrati raffinati quali pane e pasta bianchi, lo zucchero da cucina, le bevande gassate e quelle alcoliche, i succhi di frutta, i dolcificanti, i prodotti a base di lievito, il latte e i latticini come per esempio i formaggi molto stagionati., la frutta secca, e i dolcificanti sintetici. Sono da eliminare anche tutti gli alimenti che contengono caffeina in quanto può provocare il rilascio di zuccheri da parte dell’organismo.

Alimenti da limitare: sono da limitare fortemente i cibi come le patate, i peperoni, le melanzane, la frutta, alcuni condimenti come l’aceto, il mais, il pane integrale. Alcuni latticini come lo yogurt magro o il latte parzialmente scremato o a basso contenuto di lattosio possono essere assunti limitatamente.

Alimenti da preferire: sono da preferire i sostituti del latte come il latte di soia, di avena o di riso, le carni magre come pollo e tacchino, il pesce, i cereali come il kamut, la quinoa o il farro, le verdure di stagione, i legumi, gli oli di origine vegetale come l’olio di semi di lino.

Nel caso poi questi rimedi non siano sufficienti bisogna intervenire farmacologicamente.

I farmaci da utilizzare nei casi gravi di candida all’intestino.

In alcuni casi, i più gravi o i più resistenti, è necessario ricorrere alla terapia farmacologica per ridurre la sintomatologia e accelerare il processo di guarigione. La posologia e la durata della terapia verranno stabilite dal medico in base ai casi. I farmaci comunemente utilizzati sono antimicotici ed antibiotici ad uso sistemico come:

Itraconazolo: è uno dei farmaci più comunemente utilizzati ed ha la funzione di inibire la sintesi di uno dei componenti della parete cellulare del fungo. Si somministra per via orale sottoforma di compresse.

Nistatina: conosciuto con il nome commerciale di Mycostatin questo farmaco è un antibiotico che si assume per via orale sottoforma di compresse, solitamente tre volte al giorno. La sua azione è nei confronti della membrana citoplasmatica, in quanto ne inibisce le funzioni impedendo alla cellula di vivere.

Amfotericina B: è un antimicotico ad ampio spettro, non ha cioè specificità per la candida ma si utilizza per le infezioni sostenute in generale dai miceti. Viene somministrato per via parenterale.

Echinocandina: appartiene ad una classe di farmaci di nuova generazione ed ha uno spettro d’azione ristretto agendo in maniera specifica contro la candida. La sua modalità di azione è nei confronti della parete cellulare del fungo, il farmaco inibisce infatti un enzima responsabile della formazione di un componente della parete della cellula. Si somministra per via orale.

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Sindrome del piriforme, mito o realtà?

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Il dolore sciatalgico, spesso provocato da un’ernia discale, da una stenosi lombare e da una massa tumorale, può anche essere causato da un’ematoma presente nei muscoli ischiocrurali, e talora dal muscolo piriforme divenuto così rigido e voluminoso da comprimere il nervo sciatico, scatenando dolori e parestesie alla regione glutea e alla porzione posteriore dell’arto inferiore. La sindrome del piriforme (SP), così fu definita per la prima volta da Yoeman nel 1928, nonostante venga spesso misconosciuta proprio per la presenza del classico dolore sciatalgico, sembra essere una causa non rara di dolore al gluteo e all’arto inferiore. In uno studio compiuto su 240 pazienti con manifestazioni e sintomi di radicolite lombosacrale, la SP era stata diagnosticata nel 43% dei soggetti. Questa sindrome, che colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto 6:1 con gli uomini), è in grado di scatenare dolori e deficit motori all’arto inferiore così importanti da impedire all’individuo il normale svolgimento delle attività lavorative e sportive e, nei casi più severi, da limitare le normali attività quotidiane

La sintomatologia della SP può comprendere un rigonfiamento esteso dal sacro al gran trocantere, dolore e/o parestesie al tratto lombare, alla regione glutea, alla porzione posteriore della coscia e della gamba, alla pianta del piede, nonchè deficit motori e aree di ipoestesia all’arto inferiore. Frequentemente tali sintomi si presentano in forma più acuta dopo un lungo periodo in posizione seduta, specie con il femore intraruotato, o dopo lo svolgimento di attività sportive e lavorative particolarmente intense.
La diagnosi della SP si raggiunge principalmente con un esame clinico, anche se in alcuni casi trovano indicazione lo studio della conducibilità nervosa dello sciatico, la TAC e la risonanza magnetica che permettono di visualizzare il piriforme e le strutture neuro-vascolari limitrofe. L’osservazione del paziente e l’esecuzione di alcuni test clinici sono tuttavia sufficienti per valutare la stiffness del piriforme e la compressione dello sciatico. La rotazione esterna del femore, visibile quando il paziente in posizione supina atteggia il piede in extrarotazione, può essere un segno di tensione meccanica a carico del piriforme o di altri rotatori esterni dell’anca.
Tra i test clinici maggiormente citati in letteratura vi è il test di Freiberg, la cui esecuzione avviene con il paziente in posizione prona, flettendo passivamente il ginocchio a 90° e portando la gamba all’esterno per imprimere al femore una rotazione interna: lo stiramento del muscolo piriforme (che è un extrarotatore) scatena, in caso di positività del test, sia un dolore muscolare, sia un sintomo da compressione dello sciatico. Questo test permette inoltre di indagare il grado di estensibilità del piriforme e di altri rotatori esterni dell’anca.
Per testare in modo più analitico la tensione del piriforme,Saudek propone invece di posizionare il soggetto in decubito controlaterale, con l’anca e il ginocchio da valutare flessi a 90°, e di addurre passivamente il femore mentre si stabilizza il bacino.
Diversamente Pace e Nagle fanno eseguire al paziente una abduzione-extra-rotazione isometrica delle anche contro le mani dell’esaminatore dalla posizione seduta: il piriforme, aumentando il proprio diametro e la propria tensione durante la contrazione, può scatenare dolori miofasciali e di natura compressiva.
La palpazione della natica sofferente permette di valutare la presenza di gonfiore, la tensione del ventre muscolare e l’attività dei TP nel piriforme: la posizione più indicata prevede il soggetto sdraiato sul fianco controlaterale, con il femore interessato flesso e addotto, in modo da stirare il piriforme. Questo muscolo può essere palpato esternamente, per quasi tutta la sua lunghezza: è possibile infatti individuare l’esatta localizzazione del piriforme tracciando una linea dal bordo superiore del gran trocantere all’estremità sacro-iliaca del grande forame ischiatico.
Esercitando con le falangi distali del II e III dito una pressione trasversale alla direzione delle fibre del piriforme, si riconosceranno le bandelette contratte e, al loro interno, i TP che corrispondono alle zone più dolenti. Il trattamento iniziale per la sciatica si focalizza nel sollievo del dolore. Per vampate molto dolorose o acute, è consigliabile riposo al letto per un’intera settimana insieme ai farmaci per il dolore ed antinfiammatori. Massaggio ed applicazione di calore possono essere suggeriti come complementari.

Dolore permettendo, le manipolazioni e le mobilizzazioniOsteopatiche sono di grande beneficio. Sono consigliate Mobilizzazioni che si centrano nella parte bassa della schiena, glutei e muscoli hamstring. Le mobilizzazioni includono anche posizioni che riducano il dolore e procurino conforto. Corsetti possono talvolta essere utili in alcuni casi, ma la loro efficacia, in generale, è minima. Comunque, essi possono essere d’aiuto nella prevenzione delle esacerbazioni relazionate ad alcune attività o movimenti.
Con la diminuzione del dolore e il successo di una terapia iniziata presto, l’individuo è incoraggiato a seguire un programma di lunga durata per mantenere la salute della schiena e prevenire il ritorno del trauma. Un Osteopata può suggerire degli esercizi ed attività fisica regolare tali come acquagym o camminate. I pazienti sono istruiti a fare dei movimenti meccanici appropriati al corpo per minimizzare i sintomi durante un sollevamento leggero o altre attività.
Se il dolore è cronico e il trattamento conservativo fallisce, può essere consigliata la chirurgia per riparare un disco erniato o per tagliare una parte o tutto il muscolo piriforme, principalmente se c’è evidenza neurologica del danno nel nervo o nella sua radice.
Il massaggio è una forma di terapia consigliata, in particolare se il dolore sciatico sorge da uno spasmo muscolare. I sintomi possono anche essere alleviati dall’applicazione di ghiaccio nell’area dolorosa il più presto possibile quando il dolore appare. Il ghiaccio dovrebbe rimanere sull’area da 30-60 minuti diverse volte al giorno. Dopo 2-3 giorni, l’applicazione di una borsa di acqua calda può sostituire il ghiaccio. Un Osteopata può offrire soluzioni possibili per alleviare la pressione sul nervo sciatico ed il dolore che l’accompagna.

PROGNOSI
La maggior parte dei casi di sciatica sono trattabili con farmaci per il dolore e con l’Osteopatia. Dopo 4-6 settimane di trattamento, un individuo dovrebbe essere capace di riprendere le sue attività normali.

RAPPORTI ANATOMICI TRA IL PIRIFORME E LO SCIATICO
Il muscolo piriforme è generalmente costituito da tre o più ventri che originano medialmente dalla faccia antero-interna del sacro, tra il primo e il quarto forame sacrale, e s’inseriscono mediante un unico tendine, dopo aver percorso il grande forame ischiatico, sulla faccia superiore del gran trocantere.
Nonostante siano rari gli studi elettromiografici che dimostrano l’azione meccanica del piriforme, si ritiene che questo muscolo determini l’extrarotazione del femore, quando l’anca è in posizione zero e non soggetta a carico, e l’abduzione quando l’anca è flessa a 90°. Quando invece l’arto inferiore è sottoposto al carico, sembra che il piriforme intervenga per frenare la brusca rotazione interna del femore, ad esempio nella fase d’appoggio della corsa. Inoltre, quando l’inserzione sul femore è fissa, il piriforme è in grado di produrre un’importante forza rotatoria sull’articolazione sacro-iliaca, spostando la base del sacro in avanti e l’apice indietro rispetto alle ali iliache.
Il nervo sciatico emerge dalla pelvi attraverso un unico tronco che passa, nel 85% dei casi, anteriormente al piriforme, nel 11 % dei soggetti invece la porzione peroniera del nervo sciatico passa attraverso il piriforme e la porzione tibiale anteriormente al muscolo. Ancora, nel 3% dei soggetti la porzione peroniera del nervo sciatico passa sopra e posteriormente al piriforme e la porzione tibiale anteriormente, mentre nel rimanente 1 % dei casi, il nervo sciatico attraversa il muscolo piriforme.
Questa variabilità di rapporti tra il piriforme e lo sciatico verrebbe interpretata da alcuni Autori come un tentativo “naturale” di ridurre il rischio di compressione dello sciatico, e nonostante altri affermino che lo sciatico sia maggiormente a rischio di compressione quando attraversa il ventre del piriforme, non è stato condotto nessuno studio che avvalori uno specifico significato di questa variabilità anatomica. Interpretazioni a parte, il nervo sciatico può essere sia compresso dal muscolo piriforme contro l’arcata ossea del grande forarne ischiatico sia soffocato all’interno del ventre muscolare.

EZIOLOGIA DELLA SINDROME DEL PIRIFORME
Uno stato flogistico del piriforme, in presenza di malattie infiammatorie croniche della pelvi, artrite dell’anca o miofibrosite, può comportare la formazione di bande miofasciali particolarmente fibrotiche e poco elastiche e un deposito di fibrina tra le libre muscolari del piriforme. Queste bande miofasciali e il tessuto connettivo cicatriziale si organizzano seguendo linee di forza non fisiologiche, causando, oltre ad un palpabile indurimento del ventre muscolare, una maggior resistenza meccanica allo stiramento del muscolo (stiffness).
Anche un trauma diretto al piriforme e l’azione di microtraumi ripetuti alla regione glutea, causati ad esempio dalla posizione seduta ad anche addotte ed intraruotate, possono determinare un deposito di microscopiche aderenze cicatriziali disposte longitudinalmente e trasversalmente alle fibre muscolari.
Il muscolo piriforme, divenuto più teso, impegna in modo anomalo lo spazio del grande forame ischiatico, comprimendo, specie quando viene stirato, il nervo sciatico contro l’arcata ossea del foro. Lo sciatico, nel caso in cui un suo ramo attraversi il piriforme, può rimanere soffocato anche all’interno del ventre muscolare. Il risultato in entrambi i casi non cambia: l’insulto meccanico al nervo sciatico origina una sintomatologia sciatalgica caratteristica della SP.
Anche la presenza nel piriforme di un trigger point (TP) attivo (zona iperirritabile all’interno di una bandeletta muscolare contratta e/o della sua fascia connettivale, dolorosa alla compressione e in grado di evocare un caratteristico dolore proiettato) può aumentare la stiffness intramuscolare e il diametro del ventre del piriforme. I TP attivi nel muscolo piriforme possono inoltre causare, indipendentemente dalla compressione dello sciatico, caratteristici quanto fuorvianti dolori miofasciali proiettati alla regione sacro-iliaca, alla natica e alla parte posteriore della coscia.
Come riportato da Travell e Simons, prima di diventare attivi i TP sono spesso latenti, cioè silenti dal punto di vista del dolore, ma in grado di causare una limitazione del movimento e un’ipostenia del muscolo colpito. Diverse sono le cause che attivano i TP o che irritano quelli latenti: l’attivazione dei TP del muscolo piriforme è spesso conseguenza di un sovraccarico intenso e improvviso, ad esempio quando ci si trattiene dal cadere, o quando si tenta di frenare troppo rapidamente una rotazione interna dell’arto inferiore durante un cambio di direzione in corsa, o ancora quando, poggiando un peso al suolo, si abducono e si flettono le anche impegnando notevolmente entrambi i piriformi. Altri specifici movimenti, se ripetuti a lungo, sono in grado di irritare o perpetuare i TP del piriforme: una massaggiatrice, ad esempio, presentava dolori proiettati dal piriforme a causa dell’attivazione di TP in seguito a ripetute torsioni del tronco in posizione flessa eseguite durante l’attività lavorativa.
Un trauma diretto al piriforme può essere anch’esso responsabile dell’attivazione di TP in questo muscolo.

SINTOMATOLOGIA ED INDAGINE CLINICA

TRATTAMENTO
Nonostante rimangano ancora poco chiari alcuni aspetti circa l’efficacia del massaggio muscolare, è lecito affermare che questa terapia ha, tra i suoi effetti, la diminuzione della tensione muscolare e la disattivazione dei TP muscolari. Il massaggio del piriforme è stato dimostrato essere capace di diminuire la stiffness del piriforme e l’attività dei TP, riducendo la pressione di questo muscolo sul nervo sciatico e facendo regredire la sintomatologia dolorosa miofasciale. La compressione ischemica descritta da Travell nel 1952 consiste in una pressione esercitata sul TP muscolare, sufficientemente sostenuta e prolungata da inattivarlo. Rilasciando la pressione, la cute inizialmente impallidisce, poi manifesta un’iperemia reattiva: le alterazioni della perfusione della cute corrispondono molto probabilmente ad alterazioni che sembrano essere responsabili dell’efficacia di questa manovra. Nell’applicare la compressione ischemica, il muscolo deve essere stirato fino a far avvertire al soggetto un lieve indolenzimento: il pollice, o entrambi tenuti sovrapposti, vengono utilizzati schiacciando direttamente il TP per creare una pressione dolorosa ma tollerabile. Al diminuire del dolore avvertito dal paziente durante la seduta, o nel corso del ciclo di trattamento, la forza esercitata sul TP viene aumentata anche fino a 15 kg.
Nel trattare TP recenti e moderatamente attivi, può essere sufficiente un solo trattamento, durante il quale il paziente viene sottoposto ad una serie di elevate compressioni ischemiche. Nel caso invece di TP cronici e molto irritati, è necessario aumentare gradualmente le compressioni all’interno di più sedute.
Le microscopiche aderenze cicatriziali, che si depositano parallelamente alle fibre muscolari in seguito ad un trauma unico o a microtraumi ripetuti, possono invece essere “scollate” con energiche frizioni eseguite trasversalmente alla direzione delle fibre. L’eliminazione di queste aderenze restituisce al muscolo una normale meccanica del tessuto connettivo e favorisce il ritorno di un normale flusso ematico.
Durante un singolo trattamento e nel corso di più sedute, è possibile constatare un innalzamento della soglia del dolore avvertito dal paziente, che rappresenta un importante effetto di questa particolare manovra terapeutica.
Nell’eseguire queste manovre è molto importante accertarsi di non comprimere direttamente il nervo sciatico, chiedendo al paziente l’eventuale comparsa di irradiazioni o parestesie all’arto inferiore.
Sebbene questa manovra si basi su fondati principi di istologia e risultati clinici testimonino il valore di queste particolari frizioni, mancano ancora in letteratura dati che ne supportino pienamente l’efficacia clinica.

La Ginnastica Posturale Osteopatica può aiutare il paziente a migliorare la postura e prevenire ulteriori episodi di dolore sciatico.

LO STRETCHING

Lo stiramento statico di un’unità muscolo-tendinea produce una tensione a carico degli elementi elastici in parallelo presenti in essa. Malgrado lo stretching non modifichi la stiffness (resistenza all’allungamento) del muscolo bersaglio, si verifica nel soggetto un aumento della tolleranza all’allungamento, che si traduce nella possibilità di allungare ulteriormente quel muscolo a vantaggio di un incremento articolare. Lo stretching statico permette inoltre di disattivare i TP attivi e latenti presenti nel muscolo, diminuendo progressivamente la sintomatologia dolorosa. L’adozione dello stretching nel trattamento della SP consente quindi di disattivare i TP attivi in questo rotatore esterno e di recuperare il normale allungamento del piriforme durante i movimenti di adduzione-intra-rotazione del femore. Julsrud descrive un atleta affetto da SP che, dopo aver eseguito per una settimana alcune sedute di stretching, potè riprendere la sua attività sportiva senza accusare più dolore. Un ciclo di sedute di stretching statico del piriforme, ripetute ogni due ore per una settimana, hanno prodotto la scomparsa di sintomi radicolari e dolori sciatalgici insorti in un soggetto in cui era comparsa la SP dopo aver spalato la neve per molte ore.
Il muscolo viene lentamente stirato fino ad un punto di moderato dolore, mantenuto nella posizione raggiunta, quindi rilasciato: poichè il piriforme diventa un abduttore quando l’anca è flessa a 90°, è possibile ottenere il suo stiramento flettendo, adducendo e ruotando internamente l’anca, in posizione seduta, o in stazione eretta.
Lewit propone invece una diversa posizione per stirare il muscolo piriforme: il paziente è sdraiato in posizione prona e con le ginocchio flesse a 90°, mentre l’operatore spinge le gambe all’esterno in una rotazione interna che determina lo stiramento di entrambi i piriformi.
Mancano purtroppo studi biomeccanici che confrontino l’efficacia degli esercizi di stretching descritti. Qualche indicazione circa la loro validità proviene dalla sola sensazione dei pazienti che, eseguendo il primo esercizio, avvertono una tensione proprio in corrispondenza del piriforme, mentre con gli altri due, percepiscono una “torsione” all’anca, forse imputabile all’azione meccanica sulle strutture periarticolari. Anche la durata di ogni singolo esercizio di stretching, il numero di ripetizioni, il tempo di riposo e la frequenza delle sedute aspettano conferme scientifiche, seppur, da un recente studio sugli effetti dello stiramento muscolare, risulta che 30 secondi di stiramento producono, sui flessori del ginocchio, un maggior effetto rispetto alla stessa posizione mantenuta per 15 e 60 secondi.

Stefano Fiocchetti Osteopata DO

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articolo tratto da: osteopatiaonline.wordpress.com

Nuovi criteri classificativi per la diagnosi di fibromialgia

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Ancora una nuova proposta di criteri diagnostici per la Fibromialgia, più sensibili e specifici rispetto alle (innumerevoli) proposte del passato. Arriva dalla Oregon Health & Science University di Portland.

Un articolo di recente pubblicazione, uscito su Arthritis Care & Research, confronta l’affidabilità dei criteri diagnostici modificati ACR del 2011 (2011ModCr), gli ultimi criteri proposti dalla nota società scientifica Americana, con i vecchi criteri ACR 1990 e con nuovi criteri alternativi, più facili da applicare, che comprendono un più ampio spettro di sintomi e localizzazioni dolorose.

Secondo il National Institutes of Health, la Fibromialgia (FM) colpisce 5 milioni di Americani adulti; l’80-90% dei pazienti con diagnosi certa sono donne. Il disturbo si caratterizza per la presenza di dolore muscoloscheletrico a carico di specifici “tender point” diffusi su tutto il corpo e dolenti alla digitopressione, spesso associata a fatica.

I criteri 2011ModCr includono 19 punti dolorosi e 6 sintomi auto riferiti: disturbi del sonno, fatica, difficoltà cognitive, mal di testa, depressione e dolore addominale.
Il Prof. Robert M. Bennett ed i suoi colleghi specializzati in diagnosi e gestione del paziente fibromialgico, hanno condotto una survey multicentrica cross-sectional per validare i criteri 2011ModCr in un gruppo più eterogeneo di pazienti con dolore cronico; quel “tipo di paziente che i medici vedono ogni giorno”, spiegano gli autori.

Dal luglio 2012 al marzo 2013 gli autori hanno reclutato 321 pazienti dagli ambulatori di cinque reumatologi, due specialisti del dolore, e uno psicologo, in 4 diversi stati. I pazienti hanno completato 5 questionari che includevano un questionario già convalidato, basato su 10 domande, riguardante l’impatto dei sintomi, nonché una valutazione del dolore e della dolorabilità in 28 punti, su scala visiva analogica da 0 a 10.

I ricercatori hanno inoltre analizzato l’esperienza di utilizzo, da parte del paziente, di un criterio diagnostico alternativo (2013AltCr), nato dall’unione dei due questionari noti come “leveraged 28-item pain location inventory (28PLI)” e “symptom impact questionnaire (SIQR)”.

I criteri 2011ModCr hanno mostrato una sensibilità dell’83,5% ed una specificità del 67,2%, classificando correttamente il 73,8% dei pazienti. I criteri 2013AltCr sono invece risultati meno sensibili (80,7%), ma più specifici (79,6%) e hanno classificato correttamente l’80,1% dei pazienti.

Confrontando i criteri 2011ModCr ed i nuovi criteri 2013AltCr con i criteri ACR del 1990 sono emersi risultati interessanti.

Un risultato notevole, secondo gli autori, è stato quello di individuare, nel gruppo dei falsi positivi-2011ModCr, ovvero di quei pazienti che avevano la FM secondo i criteri modificati del 2011 ma non la avevano secondo i vecchi criteri del 1990, una prevalenza di uomini del 31%. Nel pazienti falsi positivi per i criteri 2013AltCr la prevalenza di uomini era invece del 34%. Inoltre sommando gli uomini veri positivi con gli uomini falsi positivi si ottenevano prevalenze del 16% quando applicati i criteri del 2011, e del 14% quando applicati i nuovi criteri del 2013. Se si considera che secondo i criteri ACR solo il 6% dei pazienti FM erano uomini, si deduce facilmente che con i vecchi criteri si escludevano con alta probabilità gli uomini dalla diagnosi di FM.

“Le donne provano più dolore degli uomini; gli uomini non vengono diagnosticati”, ha dichiarato il Dr. Bennett durante un’intervista rilasciata a Medscape Medical News. Anche per le donne, comunque, un medico può identificare un numero di punti dolenti sufficiente a formulare la diagnosi un giorno, ma potrebbe trovarne un numero insufficiente alla visita successiva. Il paziente “passa dall’avere al non avere la fibromialgia”, ha aggiunto. “Questi nuovi criteri sono più facili da applicare”.

Quindi i criteri ACR, un tempo considerate il gold standard, risulta difficile diagnosticare accuratamente la fibromialgia.“I criteri 2011ModCr abbracciano un più ampio spettro di pazienti con sintomi fibromialgici rispetto ai criteri ACR 1990”, riferisce l’autore.

La Sig.ra Jan Favero Chambers, presidentessa e fondatrice della National Fibromyalgia & Chronic Pain Association (Logan, Utah), in un’intervista a Medscape dichiara di essere grata per la “chiarezza che questi criteri apportano” alla diagnosi di fibromialgia, ma non si astiene dal commentare che “l’esistenza di 5 differenti criteri diagnostici potrebbe seminare confusione”.

I reumatologi sono a loro agio nell’applicare criteri diagnostici, ma le abilità diagnostiche dei medici di medicina generale sono diverse. Per come stanno adesso le cose, spiega Jan, le persone che cercano di capire cosa del loro organismo non funziona a dovere, visitano tra i 3 ed i 5 medici, spendendo migliaia di dollari prima di giungere alla diagnosi di fibromialgia.

Un altro parere ci arriva dalla Dott.ssa Laura Bazzichi, Dirigente Medico della U.O. di Reumatologia dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa, che da 15 anni si occupa di Fibromialgia.

“Bene il fatto che i nuovi criteri proposti siano di più facile applicazione e che permettano una valutazione della gravità della malattia, ma in assenza di marcatori obiettivi la difficoltà nel porre diagnosi rimane invariata. I nuovi criteri proposti, sia quelli modificati del 2011 che quelli del 2013, sono infatti utili nel follow up del paziente, ma meno utili per fare una diagnosi differenziale. La diagnosi di Fibromialgia resta infatti sempre e comunque una diagnosi di esclusione”, dichiara la Dott.ssa Bazzichi, intervistata da Pharmastar.

Gli autori dello studio pubblicato su Arthritis Care & Research tengono comunque a precisare che i criteri 2013AltCr necessitano di una validazione indipendente, effettuata su una casistica più ampia e variegata di pazienti che lamentano sintomi cronici.

“Abbiamo offerto una validazione indipendente dei criteri 2011ModCr che, rispetto a quanto riportato in studi precedenti, è stata effettuata su un campione di pazienti affetti da una vasta gamma di disturbi caratterizzati da dolore cronico” sottolineano gli autori.

E il loro paper si conclude con le seguenti parole: “Abbiamo anche esplorato criteri alternativi (2013AltCr) sulla base della scala SIQR e del numero di punti dolenti. Questi criteri alternativi sono paragonabili a quelli del 2011 in termini di sensibilità diagnostica, un po’ meglio in termini di specificità; questi criteri hanno soprattutto il vantaggio di utilizzare solo una combinazione di punti dolenti e di sintomi, riferiti al medesimo intervallo temporale”.

tratto da:http://www.cfsitalia

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IL TRATTAMENTO OSTEOPATICO DELLA FIBROMIALGIA: STUDIO SPERIMENTALE

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IL TRATTAMENTO OSTEOPATICO DELLA FIBROMIALGIA: STUDIO SPERIMENTALE
Relatori: Franco Guolo
Autori: Antonella Braglia Orlandini, Silvia Di Giacomo, Daniele Ferri, Michele Finardi, Francesca Garofalo, Luca Giombini, Maela Grassi , Elisa Lazzari, Sara Lazzari, Luca Mazzarolo, Davide Meistro, Andrea Neri, Gianni Peruch, Mirko Pianta, Simone Pittalunga, Gabriele Polcari, Christian Rover, Rossella Tonso, Tiziano Zamproglio
Centro studi e ricercheCollegio italiano di Osteopatia di Bologna
Introduzione
Lo scopo di questa tesi è verificare l’efficacia dell’approccio manuale osteopatico come terapia di supporto alla patologia fibromialgica elaborando un protocollo di lavoro che possa essere standardizzato e riproducibile, permettendo cosí la comparazione dei dati raccolti.
Materiali e Metodi
Allo studio hanno partecipato 60 pazienti (30 del gruppo di studio e 30 del gruppo di controllo). Dei 60 pazienti 56 erano di sesso femminile e 4 di sesso maschile. I partecipanti avevano età compresa tra i 22 e i 76 anni con una età media di 50,78±4,14 anni. La diagnosi di fibromialgia è stata formulata da specialisti reumatologi o fisiatri. Il gruppo di studio (n=30) e il gruppo placebo (n=30) sono stati sottoposti a trattamenti osteopatici per la durata di 5 settimane con cadenza settimanale. Il trattamento placebo prevedeva il posizionamento delle mani senza dialogo tissutale e senza attenzione e intenzione terapeutica. Per entrambi i gruppi è stata eseguita una valutazione ad inizio a fine protocollo e ad un mese dalla conclusione del lavoro.
Dalla bibliografia disponibile emerge l’importanza del trattamento dell’asse centrale per le implicazioni correlate al sistema nervoso vegetativo nell’eziologia della patologia. A tal fine nel protocollo adottato è stata posta particolare attenzione all’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene orientando il trattamento proposto al riequilibrio di tale sistema. In prima istanza è stata eseguita una valutazione diagnostica riguardo lo stato del sistema neurovegetativo dei pazienti con successiva suddivisione degli stessi in tre stati fondamentali (ipersimpaticotonia, iperparasimpaticotonia e iposurrenalismo) tramite l’utilizzo di un elenco specifico di domande riguardanti ciascuno stato. Successivamente i pazienti, durante i 3 momenti di valutazione, hanno compilato i questionari SF–36 e FIQ, una scheda sulla quantità dei farmaci somministrati, la scala di valutazione verbale del dolore, la scala di valutazione numerica, visiva e cromatica dei grigi. L’analisi statistica è stata realizzata utilizzando il t – test (Student) con p – value di 0,05 (CI 95%) e un test sulle frequenze relative con p–value = zc 1,96.
Risultati
Le disfunzioni riscontrate con maggior frequenza alla valutazione osteopatica iniziale sono state compressioni sia a livello della SSB che del sacro, disfunzioni complicate della cerniera dorso-lombare seguite in percentuale da FRS. I risultati ottenuti riguardo a tali disfunzioni hanno evidenziato lo spostamento generale verso disfunzioni più fisiologiche rispetto alle valutazioni iniziali. Il questionario SF 36, che valuta lo stato di salute del paziente in relazione alle limizioni che incontra nello svolgimento delle attività della vita quotidiana, ha mostrato un netto miglioramento dei parametri con una rilevanza statistica in particolare negli item PF (attività fisica), BP (dolore fisico), SF.(attività
sociali). Nella comparazione delle scale NRS e VAS non ci sono state differenze significative fra i due gruppi che hanno
comunque manifestato una riduzione notevole della percezione del dolore. Tale dato viene altresì sottolineato, con
significabilità scientifica, dai risultati ottenuti tramite la scala SCG, dove si apprezza una diminuzione del valore
percentuale del dolore riferito di 14 punti per il gruppo di studio e di 5 punti per il gruppo di controllo. Non sono state
trovate significative differenze fra i 2 gruppi rispetto allo stato neurovegetativo
Un limite dello studio è stato la non completa presenza di alcuni dati riguardanti i dosaggi dei farmaci assunti dai
pazienti, dovuta primariamente all’autocompilazione da parte del paziente stesso di questa parte del questionario. E’
stato comunque possibile valutare la variazione percentuale del numero dei soggetti che nel corso dello studio ha
assunto i diversi farmaci con una riduzione percentuale maggiore per il gruppo di studio rispetto al controllo su vari
classi farmacologiche (analgesici, antinfiammatori, ansiolitici, miorilassanti,antidepressivi)
Conclusioni
Alla luce di tutti i dati analizzati si può affermare che il trattamento osteopatico è un valido mezzo nel trattamento
della fibromialgia sia dal punto di vista della diminuzione del dolore riferito che per il miglioramento della qualità della
vita del paziente. Ci riserviamo di effettuare un controllo del follow-up ad 1 anno dai trattamenti per verificare
l’efficacia degli stessi nel tempo.

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